L’accordo parasociale, che sembrava destinato alla dismissione, non solo è stato confermato ma anche leggermente allargato. Sarà essenziale se decadrà lista Cda.
Dell'inviato Giuseppe Failla, pubblicista italiano di finewsticino.ch
Una famosa canzone di Fiorella Mannoia, una delle maggiori cantautrici italiane, recita «Come si cambia per non morire». Un verso che riassume perfettamente l’inversione a U di Mediobanca e del suo amministratore delegato nella considerazione del patto parasociale.
Il patto di sindacato di Mediobanca è stato per decenni il salotto della finanza italiana, Raccoglieva i nomi migliori dell’industria e della finanza del Paese che, fidati da Enrico Cuccia, decidevano le sorti degli equilibri finanziari del Paese.
L’accordo è diventato sempre più leggero
Con il passare del tempo, e con il progredire del mondo economico finanziario italiano, l’accordo è diventato sempre più leggero, in termini sia di azioni vincolate sia di personaggi coinvolti.
Alberto Nagel, amministratore delgato di Mediobanca, nonché erede e successore di Enrico Cuccia e di Vincenzo Maranghi, per anni ha descritto il patto come una scoria del passato, di quando le azioni, secondo il lemma cucciano, si pesavano e non contavano.
Il vecchio strumento è tornato nuovamente utile
Però poi si sono affacciati Delfin e Francesco Gaetano Caltagirone che, forti del, loro complessivo quasi 30% del capitale, hanno chiesti e chiedono rappresentanza. Finora l’arma della lista del Cda, ha consentito di salvare il fortino, ma adesso rischia di essere spuntata dal Del Capitali approvato dal governo.
Ecco che il vecchio strumento è tornato nuovamente utile. Il pensionamento del patto è stato rimandato.
Patto allargato
Non solo non è stato pensionato, ma è stato anche allargato. L'assemblea del patto di consultazione dei soci Mediobanca ha deciso di allargare il perimetro dell'accordo dal 10,84% del capitale al 10,98%.
L’aumento è stato assai limitato ma il messaggio simbolico che ha dato al mercato è stato assai chiaro: hic manebimus optime. Nel dettaglio l'assemblea ha approvato all'unanimità l'ammissione all'accordo di Valsabbia Investimenti (famiglie Brunori, Cerqui e Oliva – primario gruppo attivo nel settore siderurgico) titolare di 1,2 milioni di azioni (0,14% del capitale) e di Plt Holding (famiglia Tortora – primario gruppo attivo nel settore delle energie rinnovabili), che ha acquistato lo 0,47%.
Famiglia romana
Per due nuovi soci che entrano il patto ha dovuto prendere atto dell’uscita dopo 23 anni della famiglia Angelini, azionista storico di Mediobanca che ha venduto il proprio 0,47%.
La famiglia romana a capo di un gruppo da oltre due miliardi di euro di fatturato – che va dal pharma ai beni di largo consumo – era entrata nel capitale e nel patto dell’istituto nel 2001, entrando da subito a far parte dell’allora patto di sindacato.
Molto meno affascinante rispetto al passato
Quello che fu un salotto è oggi poco più che un salottino che dovrebbe però bastare a garantire il management. Il parterre de roi è molto meno affascinante rispetto al passato. Alcuni nuovi arrivi, come la famiglia Monge, signori del petfood, hanno fatto sorridere amaro qualche osservatore di lunghissimo corso.
La mancanza di blasone non è l’unica criticità. Non solo gli azionisti di prestigio sono pochi, ma a volte sono anche assi indisciplinati. Romano Minozzi, signore delle piastrelle e socio storico di Piazzetta Cuccia, in occasione del recente rinnovo degli organi societari ha duramente criticato Nagel, accusa dolo di parlare solo con i banchieri.
Voci e indiscrezioni
Un’uscita che anni fa sarebbe stata semplicemente impensabile e che testimonia come l’ascendente del management sui soci sia assai basso.
E intanto sullo sfondo continuano a susseguirsi voci e indiscrezioni sugli appetiti di Unicredit e Intesa Sanpaolo per Mediobanca. Voci che sistematicamente sono state etichettate come prive di fondamento. Ma sono in molti a credete che le cose potrebbero cambiare a breve.