Il quotidiano del Regno Unito sostiene che l’Esecutivo sta per adottare normative che favoriscono gli imprenditori amici e in particolare Francesco Gaetano Caltagirone.
Dell'inviato Giuseppe Failla, pubblicista italiano di finewsticino.ch
Non siamo ai livelli raggiunti quando l’Economist definì Silvio Berlusconi «unfit» per governare l’Italia, ma l’attacco del «Financial Times» al Governo Meloni sul Ddl Capitali ci assomiglia molto. La norma è un disegno di legge che, nell’intenzione dell’Esecutivo, ha lo scopo di modernizzare e rendere più efficienti i mercati dei capitali italiani. Il decreto è stato approvato dal Senato lo scorso 24 ottobre e verrà liquidato definitivamente dalla Camera nei prossimi giorni.
Secondo il quotidiano inglese il provvedimento a un primo esame «appare positivo». In un commento dal titolo «Come il nuovo Ddl capitali della Meloni potrebbe ritorcersi contro le imprese italiane», viene però spiegato che ha un approccio ‘protezionistico’, potenzialmente ‘scoraggiante per gli investimenti internazionali’ e il suo beneficiario più evidente è Francesco Gaetano Caltagirone, «l'ottuagenario barone dell'edilizia e dei media, e azionista di rilievo di due dei più potenti gruppi di servizi finanziari italiani, Generali e Mediobanca». Caltagirone viene inoltre definito «un alleato fondamentale per la Meloni» in quanto «possiede giornali influenti nelle regioni dove la premier ha il consenso maggiore».
Potenziare azionisti storici
La ratio con cui è stato concepito il decreto è quella di potenziare il voto degli azionisti storici delle società rafforzando il potere delle minoranze. Di fatto favorirebbe gli azionisti di lungo termine a svantaggio di quelli di breve. Tra le norme più eclatanti che potrebbero essere introdotte quella che preoccupa maggiormente, e non solo l’«FT», è quella che incentiverebbe «in modo estremo» la detenzione di azioni per 10 o più anni, concedendo agli investitori un diritto di voto dieci volte superiore a quello degli azionisti di breve termine. Questo, spiega il «Financial Times», «favorisce alcuni tipi di azionisti italiani,» tra cui appunto Francesco Gaetano Caltagirone.
Un’altro passaggio controverso delle normativa è quello che darebbe «agli azionisti una maggiore voce in capitolo sulla nomina dei membri del consiglio di amministrazione». Il provvedimento metterebbe fuori gioco azionisti come gli hedge fund attivisti e limiterebbe il potere dei fondi il cui voto è stato invece fondamentale nell’eleggere i Cda di Generali e Mediobanca contro le liste presentate da Caltagirone (e Leonardo Del Vecchio).
Le tesi di Meloni
L’iniziativa del Governo ha generato apprensione anche nella Consob secondo cui queste norme potrebbero «rappresentare un assetto unico a livello internazionale pregiudicando gli obiettivi di semplificazione stabilità e comprensibilità della normativa di settore». Se la legge passasse, spiega ancora l’«FT», «rappresenterebbe un secondo passo indietro per i mercati italiani nel giro di pochi mesi», con il primo individuato nel crollo delle azioni delle banche lo scorso agosto in seguito al «caotico» annuncio della tassa sugli extraprofitti.
Durante una recente conferenza stampa Meloni ha detto di non ritenere «corretta» la lettura secondo la quale il decreto «rischia di allontanare gli investimenti e rendere ingovernabili alcuni grandi gruppi» spiegando che la norma sulle modalità di presentazione della lista dei Cda «serve a limitare il meccanismo con cui si perpetuano all'infinito i consigli a prescindere dai soci. Al mercato una previsione che rafforza il peso degli azionisti piace», ha aggiunto.
Il primo banco di prova
La norma per il rinnovo dei cda è una delle più contrastate dell'intero provvedimento. Prevede che la lista del board debba essere proposta con una maggioranza qualificata e pari a due terzi, e un maggiore spazio in cda alle liste di minoranza. La norma avrà effetto a partire dal 2025 e il primo banco di prova saranno proprio le Generali.