Un vecchio adagio italiano recita «Parlare e nuora perché suocera intenda» che significa rivolgersi a qualcuno con l'intenzione che altri senta e capisca che quelle parole sono rivolte a lui.
Questo motto di antica saggezza contadina sintetizza perfettamente la strategia adottata da Francesco Gaetano Caltagirone nella partita relativa ali rinnovo del Cda di Mediobanca, che sarà il punto forte dell’assemblea della merchant bank in calendario, come ogni anno, il prossimo 28 ottobre.
Fra Caltagirone e Nagel ruggine antica
Innanzitutto, va ricordato che l’imprenditore romano controlla il 5,61% del capitale di Piazzetta Cuccia e che ha un lungo contenzioso con Alberto Nagel, amministratore delegato di Mediobanca che con le sue strategie ha impedito un anno fa che Caltagirone e Leonardo del Vecchio facessero nominare in Generali un Cda che fosse loro espressione.
In occasione dell’assemblea delle Generali, che la scorsa settimana ha approvato il bilancio, Caltagirone ha fatto sentire la sua contrarietà in sede di voto. Nel dettaglio di è astenuto sul bilancio e sul piano di azionariato per i dipendenti, una decisione, soprattutto nel secondo punto, alquanto irrituale e ritenuta poco elegante, anche se perfettamente legittima.
Caltagirone ha anche votato a favore del dividendo. Un modo, secondo alcuni osservatori, per dire a Philippe Donnet «meglio che tu distribuisca gli utili visto che non riesci a fare crescere il Leone per linee esterne», assecondando le ambizioni (per alcuni osservatori le smanie) di grandezza dei soci italiani.
Attaccare Donnet per attaccare Nagel
Criticare Donnet è una mossa sterile se vista nell’ottica degli equilibri triestini, ma è un anticipo di guerra se la si legge come una critica espressa a chi ha voluto la conferma di Donnet e quindi Nagel, con un abbondante e ricco supporto degli investitori istituzionali. La prossima assemblea di bilancio di Mediobanca sarà un passaggio esiziale per l’attuale management.
Il presidente Renato Pagliaro, che arriverà all’assemblea avendo già compiuto 65 anni, visto che è nato a Milano nel 1957, a meno di colpi di scena, non si renderò disponibile per una nuova rielezione.
Pagliaro non si ricandida
La sua uscita non è evento di poco conto visto che si tratta di un pezzo di storia della banca dove è entrato immediatamente dopo la laurea alla Bocconi nel 1981.
Ha fatto tutta la carriera interna, sotto l'ala di Vincenzo Maranghi (delfino del fondatore Enrico Cuccia), fino a diventare presidente del consiglio di gestione, nel 2007-2008, per poi arrivare alla presidenza nel 2010, dopo l'uscita di Cesare Geronzi, che andò alle Generali.
Nella sua carriera non ha mai concesso un’intervista e l’unica altra attività che coltiva al di fuori della banca quella di consigliere della Fondazione Giancarla Vollaro, storica assistente di Cuccia, che finanzia la ricerca scientifica in campo oncologico. Ha una enorme preparazione tecnica, cosa che lo rende molto apprezzato dal consiglio e molto rispettato nella finanza milanese. Il finanziere bretone Vincent Bolloré lo definì «un uomo che segue molto bene i rischi», cosa che «è molto importante».
Nuovo presidente scelta difficile
Nagel si troverà a dovere compilare una lista per il rinnovo del Cda senza potere contare su Pagliaro che di fatto ha «bloccato» la casella del presidente fino ad oggi rendendo la scelta di Nagel di occupare quella di amministratore delegato come «obbligata».
L’uscita di Pagliaro inevitabilmente rimescola le carte mettendo Nagel di fronte a un bivio: salire alla presidenza indicando sangue fresco per la guida operativa di Mediobanca o trovarsi un nuovo presidente in grado di sopperire all’uscita di Pagliaro.
Caltagirone può puntare a Cda
E su questo dubbio si innesta la strategia di Caltagirone che, unitamente agli eredi di Del Vecchio, che possono contare sul 20% circa del capitale, potrebbe tentare dia presentare una lista alternativa per cercare dei prendere il controllo dia Piazzetta Cuccia.
La strada è stretta e non priva di insidie. Nagel, infatti, è stimatissimo dai fondi che apprezzano la capacità di crescita per linee interne, la capacità di rispettare le promesse contenute nei piani industriali e ultimo ma non meno importante le cedole.
E’ vero che finora non è riuscito a risolvere la vicenda legata alla quota del 13% del capitale delle Generali che ha in pancia e che non ha portato a casa l’acquisizione nell’asset management che tutti aspettavano. Ma è anche vero che, aspettando il momento buono, ha continuato a fare ricchi i suoi stakeholders. Rendendo l’attesa assai dolce.