Con la scomparsa del Credit Suisse, l'economia svizzera sta perdendo la propria diversificazione, come è già successo con la sparizione di altre grandi banche svizzere.

Il Credit Suisse fa ormai parte della storia, ed il brand non esisterà più tra due anni, rendendo la Svizzera meno diversificata culturalmente. Ogni grande banca che è esistita nel Paese incarnava un certo grado di identità nazionale.

Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, la Svizzera aveva sette grandi banche: Union Bank of Switzerland (UBS), Swiss Bank Corporation (SBC), Schweizerische Kreditanstalt (SKA, poi Credit Suisse), Schweizerische Volksbank (SVB), Bank Leu, Eidgenoessische Bank (Eiba) e Basler Handelsbank.

Un’espansione troppo rapida

Le ultime due banche scomparvero poco dopo la guerra. Si erano condannate perché, negli anni Trenta, si erano diversificate rivolgendosi principalmente alla Germania: con la crisi che ci fu tra il 1931 e il 1936 e la capitolazione della Germania nazista, non poterono più recuperare i finanziamenti concessi a suo tempo.

La Basler Handelsbank fu assorbita dalla sua rivale locale, la SBC, e utilizzata come clearing house per i crediti congelati. La SBC rilevò anche Eiba utilizzandola come holding e società di finanziamento, riducendo a cinque il numero delle principali banche svizzere. Altre due banche, non basate a Zurigo, scomparvero contemporaneamente: erano ben radicate a livello locale, ma si condannarono a seguito di una espansione troppo aggressiva sui mercati esteri.

La più antica grande banca della Svizzera

Trascorsero diversi decenni prima che la successiva grande istituzione scomparisse. La Banca Leu di Zurigo, fondata nel 1754, era la più antica banca svizzera dell'epoca e in essa confluivano le ricchezze di privati, associazioni, aziende e imprese di Zurigo che volevano investire all'estero. La sua lunga storia è sempre stata caratterizzata da continui alti e bassi, che la portarono prima verso il retail banking, e poi all’acquisizione da parte dell’attuale Credit Suisse.

L'aumento della concorrenza interna in un settore che si allontanava dalle politiche di price-fixing e si orientava verso una maggiore liberalizzazione degli scambi, e la mancanza di strategia di internazionalizzazione, ne decretarono la rovina. Quella che era forse la più importante banca svizzera andò perduta, ma il nome rimase in vita attraverso Leu Holding e infine Clariden Leu. Credit Suisse non riuscì però a valorizzarla né come entità indipendente né come controllata di successo, e alla fine, nel 2012, la integrò totalmente.

La battaglia per l'acquisizione di SBG e SKA

Un'altra grande banca scomparve negli anni '90. La «Volksbank von Bern», in seguito Schweizerische Volksbank, era stata fondata nel 1869 da esponenti del mondo del lavoro, del servizio civile e dei sindacati. All'inizio degli anni '80 fu messa sotto pressione dalle forti perdite sui futures sull'argento, a cui si aggiunse una crisi immobiliare a livello nazionale, che portò a importanti svalutazioni di assets che la banca non riuscì ad assorbire.

Ci fu una battaglia per la sua acquisizione tra SBG e SKA, che in seguito divenne Credit Suisse e che risultò il vincitore finale. Le promesse di preservare il marchio SVB si rivelarono presto vane.

Una sana competizione

E rimasero le Tre. C'era una sana competizione tra coloro che erano rimaste in piedi, soprattutto perché erano culturalmente diverse. UBS era considerata l’indiscusso numero uno: un'organizzazione strutturata, focalizzata sui processi, quasi di tipo militare.

E forse proprio per questo motivo, UBS non aveva la capacità di innovazione che contraddistingueva la SBC. Le sue prime iniziative all'estero le hanno permesso di avvicinarsi ai recenti sviluppi del mondo finanziario internazionale, soprattutto nel campo del trading.

Credit Suisse, rinnovato dopo lo scandalo di Chiasso del 1977, sotto il presidente Rainer E. Gut si posizionò come banca d’affari e nutrì ambizioni di investment banking sempre più grandi negli Stati Uniti, che però alla fine non si sono mai concretizzate.

Una telefonata infausta

Che questo scenario bancario a tre gambe fosse traballante divenne evidente nell'aprile 1996, quando Gut chiamò il suo concorrente Nikolaus Senn di UBS e gli propose una fusione. Senn, ferito sia nel suo orgoglio personale che aziendale, rifiutò immediatamente l'offerta.

Ci vollero altri due anni prima che SBC si fondesse con SBG. Nel corso degli anni '90, SBC, indebolita dal suo stesso successo, si trasformò in un colosso ben capitalizzato ma lento, a corto di prospettive in un mondo sempre più globalizzato. Al contrario, SBC si dimostrò una società innovativa, in particolare sotto la guida di Marcel Ospel, talmente competitiva da esaurire le proprie risorse finanziarie. Una fusione, pertanto, aveva senso da un punto di vista economico.

Dal successo alla crisi

E così dalla fusione di SBA e SBC nacque UBS. Questa operazione fu di fatto un'enorme sfida culturale, perché inizialmente la SBC di Ospel riuscì a far prevalere la propria strategia, diventando un modello di successo per l'industria finanziaria svizzera. Purtroppo, la banca speculò pesantemente e male durante tutta la crisi finanziaria, tanto da dover essere salvata dal governo federale nell'autunno del 2008.

Sotto la pressione della riorganizzazione e la partenza della vecchia guardia SBC di Ospel, UBS riadottò il suo storico approccio orientato ai processi, pur allentando al contempo la sua «cultura» militare. I principali artefici di ciò furono Sergio Ermotti, che introdusse una strategia a basso rischio incentrata sulla gestione patrimoniale, e l'ex presidente della Bundesbank tedesca Axel Weber, che conferì autorevolezza all'istituto. Si può dire che tutto ciò gettò le basi che hanno reso possibile l'acquisizione di Credit Suisse da parte di UBS.

Un peccato per gli imprenditori

Non è privo di una certa ironia il fatto che il Credit Suisse sia riuscito a superare la crisi finanziaria del 2008 con grande abilità, ma che non sia poi stato in grado di capitalizzare quel successo, rovinandosi a causa di negligenza, arroganza e incompetenza. Ma come dimostrano 80 anni di storia, la scomparsa di un'altra grande banca svizzera non è una novità.

Comunque, un altro pezzo di patrimonio economico e culturale sta andando perduto. Per il mondo imprenditoriale, che si sentiva rappresentato dal Credit Suisse, è un peccato non poter più scegliere tra due istituti.

La Fine della cultura di Alfred Escher

Con la completa integrazione del Credit Suisse in UBS, verrà meno l'ultimo contrappeso svizzero alla cultura di UBS. Pur soffrendo di un scarsa consapevolezza del rischio, il Credit Suisse disponeva di risorse dalla mentalità imprenditoriale leali e pragmatiche, con il pedigree della «Banca Alfred Escher», ai quali era permesso di sfruttare queste qualità più che in altri istituti.

È finita un’era, perché non tutti i dipendenti del Credit Suisse entreranno in UBS, ma anche perché UBS ha una cultura propria. UBS è ora l'ultima banca rimasta in piedi.