Nella partita a scacchi relativa al futuro di Mediobanca, all’amministratore delegato Alberto Nagel sono rimaste pochissime mosse, forse solo una: l’arrocco. Che in questo caso chiameremo arrocco di mercato e spiegheremo più avanti perché.
La prossima assemblea di bilancio, che si terrà da pressi il 28 ottobre, l’assise sarà chiamata anche ad eleggere il Cda per il triennio successivo. Rispetto agli ultimi tre lustri scarsi, caratterizzati dal ticket Renato Pagliaro presidente e Alberto Nagel Amministratore delegato, nel prossimo triennio la casella della presidenza è da riempire con un nome nuovo.
Questo, inevitabilmente, genererà un rimescolamento di carte che aumenterà gli appetiti di quanti, finora, non hanno avuto alcuna rappresentanza negli organi societari.
I delusi, abbastanza incredibilmente, nel caso di Mediobanca sono il primo e secondo azionista in termini assoluti ovvero Delfin, la holding degli eredi di Leonardo del Vecchio, forti di poco meno del 20% del capitale e Francesco Gaetano Caltagirone con il 5,61%.
Cda Mediobanca presenterà lista board
In Mediobanca, così come Generali, è invalsa la prassi che prevede che il board proponga la propria lista per il rinnovo del consiglio. La prima incognita per Nagel è decidere se riservare per sé la casella da presidente lasciata libera da Pagliaro o se proseguire la sua avventura da capo-azienda.
Se Francesco Canzonieri non avesse abbandonato la merchant bank per mettersi in proprio, molto probabilmente non ci sarebbero stati dubbi. Oggi questa decisione rischia di innescarne molte altre a catena.
Nagel ha da sempre dalla sua il mercato. I fondi partecipano in massa alle assemblee di Mediobanca ed è molto probabile che saranno ancora al suo fianco se i soci industriali dovessero attuare manovre più orientate da logiche di potere piuttosto che da logiche di mercato. Nagel potrebbe quindi tentare di arroccarsi dietro ai fondi, magari redigendo una lista di consiglieri e manager apicali primissimo ordine. Rimanendo nella terminologia scacchistica, il contrattacco è quasi escluso.
Quota Generali Croce e delizia
Mediobanca si trova, ormai da anni, in una situazione assai peculiare. Ha in pancia il 13% delle Generali, quota che si è sempre detta pronta a dismettere qualora si fosse palesata un’opportunità. E qui la situazione si fa complicata. In primo luogo, perché le quotazioni di borsa dicono che il Leone di Trieste capitalizza 30 miliardi di euro circa.
Questo significa che il 13% della compagnia vale circa 3,9 miliardi. Mediobanca vale 8,46 miliardi di euro e questo vuol dire che la quota di Generali da sola cuba per oltre il 30% della capitalizzazione di Piazzetta Cuccia. Troppo per non generare appetiti.
Tesoro difficile da capitalizzare
In realtà Nagel sa perfettamente che ha un tesoro che è molto difficile capitalizzare. L’ex presidente delle Generali Antoine Bernheim diceva che le Generali sono l’esercito dell’Italia. Il più prosaico Cesare Geronzi definì la compagnia come una mucca speciale dalle cento mammelle.
Nessuno consentirebbe a Nagel di dismettere la quota in modo da potere compromettere gli interessi del Paese. Il manager aveva trovato la quadratura del cerchio.
Se Mediobanca fosse riuscita a comprare Banca Generali avrebbe potuto pagarla in parte anche con azioni del Leone che la compagnia avrebbe potuto usare per operazioni carta contro carta o annullare per remunerare i soci.
L’operazione non è mai arrivata fin consiglio perché è stata preventivamente bocciata dai soci.
Non si pensa a fusione con Mediolanum
Altre mosse sullo scacchiere dell’asset management sono molto difficili da realizzare. Anche in questo settore ci sarebbe stata un’opzione che avrebbe consentito un arrocco ovvero il matrimonio con Banca Mediolanum, socio sindacato di lunghissimo corso e partner aziendale.
L’operazione è sempre stata smentita da Massimo Doris, amministratore delegato di Banca Mediolanum e figlio del fondatore Ennio Doris, scomparso di recente. L’arrocco dei fondi, se ci sarà, renderà molto cara ogni iniziativa che dovesse vedere Mediobanca come preda.
I due candidati più accreditati sono l’Unicredit di Andrea Orcel e Intesa Sanpaolo di Carlo Messina.
E se sbucasse Banco Bpm?
Non manca qualche nostalgico che, memore del lungo corteggiamento di Mediobanca alla Bpm, non esclude che un matrimonio con Banco Bpm possa essere provato per consentire alle due banche di essere artefici del loro destino e non prede.
Senza contare che Nagel presidente e Giuseppe Castagna ad sarebbe un ticket di prim’ordine.