Il «Financial Times» ha rivelato che sono in corso trattative fra Generali e Natixis per la creazione di un mega polo del risparmio gestito a vocazione europea. «Rumors» che non sono stati ancora smentiti.
Dell'inviato Giuseppe Failla, pubblicista italiano di finewsticino.ch
Nel dettaglio i due soci conferirebbero le masse che hanno rispettivamente in gestione pari a 656 miliardi di euro per Generali (detenute tramite Generali Investment Holding) e 1.200 miliardi dal lato Natixis Investment Managers.
In totale poco meno di 1.900 miliardi di euro che darebbero vita alla seconda piattaforma europea di asset management dopo Amundi, che gestisce circa 2 mila miliardi di euro.
Primo possibile problema
Successive compensazioni a livello di capitale allo studio fra le due realtà dovrebbero consentite ai due soci di avere quote paritarie all’interno della nuova società. E qui si palesa il primo possibile problema.
Generali Investment Holding contiene l’americana Conning, recentemente acquistata dai taiwanesi di Cathay Life, che oggi controllano una quota di minoranza della società, pari al 16,7%. La diluizione connessa alla creazione della newco realizzata con Natixis porterebbe la partecipazione a scendere all’8,35%.
Alla fine, la newco sarebbe controllata al 50% da Natixis, al 41,65% da Generali Investment Holding e all’8,35% da Cathay Life.
Philippe Donnet in minoranza
Le Generali, in questo schema, sarebbero evidentemente in minoranza, una condizione che difficilmente potrà essere superata dalla Governance. Tra l’altro non si vede il motivo per il quale i francesi, che cubano quasi il doppio rispetto agli italiani, potrebbero accontentarsi di contare esattamente come il loro socio.
Philippe Donnet, Ceo delle Generali, sembra non avere mandato a memoria una delle lezioni più importanti impartite da uno dei suoi più prestigiosi predecessori.
Antoine Bernheim diceva sempre che le Generali sono «l’esercito d’Italia», con ciò intendendo che la forza del Leone era la forza che l’Italia stessa poteva interporre nelle battaglie finanziarie. La domanda a questo punto sorge spontanea. Chi farebbe guidare il proprio esercito da uno straniero?
Manager francese poco popolare
Donnet a breve dovrà giocarsi la rielezione, visto che il suo mandato scade il prossimo mese di aprile, con l’assemblea che sarà chiamata ad approvare il bilancio 2024. Non è un mistero che Francesco Gaetano Caltagirone, azionista delle Generali con una quota del 7% e Delfin, la holding che raccoglie gli eredi Del Vecchio, forte del 9,77%, non amino il manager francese.
Con la nuova legge Capitali che marginalizza la lista presentata dal Cda a a favore di quelle presentate dai soci, i due soci italiani sperano di disarcionarlo dalla guida del Leone, che dura ormai da otto anni.
Attenzione a Governo
Le critiche all’italianità dell’operazione non si sono fatte attendere in ambienti finanziari. Volendo esplicitare il non detto, molti temono che Donnet possa replicare quanto fatto da Jean Pierre Mustier che vendette l’asset management di Unicredit alla francese Amundi.
Una fonte vicina ai soci italiani per rendere lo sdegno creato da questi rumors si è rifugiato in una domanda retorica. «Ma vi immaginate Carlo Messina fare una cosa simile con Eurizon? Impensabile».
Il recente fallimento delle trattative fra Allianz e Amundi, tramontate perché le parti don hanno trovato una quadra sulla governance, spiegano molto dei rischi che correrebbe Generali.
Controllo francese?
A ottobre scorso, secondo i dati Assogestioni, il patrimonio complessivo del risparmio gestito italiano ammontava a 2460 miliardi di euro. Siamo sicuri che il Governo italiano, in una fase fin cui è sempre più importante il supporto dei colossi privati alle iniziative pubbliche, faccia volare un quarto di tutto il risparmio gestito italiano sotto il controllo francese?
E’ ampiamente prevedibile che il Governo cercherà di giocare la carte del Golden Power e se dovesse soccombere incasserebbe una grave sconfitta da quella che è la sua prima multinazionale finanziaria.
Il mercato
Ovviamente i fautori del progetto, sia sul fronte italiano sia su quello francese, si appellano alle logiche di mercato. Ma Mediobanca, che di Generali è prima azionista e che è sempre la linea con le decisioni prese da Donnet, questa volta potrebbe trovarsi se non formalmente almeno sostanzialmente isolata.
Difficile che Messina, Ceo di Intesa Sanpaolo che da sempre sogna di muover sul Leone, possa apprezzare un’operazione simile. E lo stesso Andrea Orcel, Ceo di Unicredit, che avrebbe anche una motivazione personale ulteriore. Il banchiere ha appena iniziato le trattative con Credit Agricole che non ha intenzione di lasciare Banco Bpm se non a fronte di robusta compensazione. Nulla gli servirebbe meno di una polemica nazionalistica innescata dalle Generali.