Giorgia Meloni esce rafforzata dalle elezioni regionali, Matteo Salvini felice a metà.

Le elezioni regionali in Lombardia e Lazio sono state una vittoria per le forze attualmente al governo in Italia e una vittoria senza ombre per Giorgia Meloni il suo partito Fratelli d’Italia (FdI).

La vittoria di Francesco Rocca nel Lazio era ampiamente attesa così come quella di Attilio Fontana in Lombardia. Ma nel caso della Lombardia c’erano una pluralità di fattori da osservare per comprendere se questo voto possa comportare cambiamenti negli equilibri dell’esecutivo.

Per Meloni vittoria sud tutta la linea

Meloni ha vinto su tutta la linea mentre sono usciti sconfitti certamente il Terzo Polo di Letizia Moratti e forse anche il candidato di centro sinistra. Ma andiamo con ordine. Fontana, candidato leghista di strettissima osservanza salviniana, può gioire del fatto che ha vinto con una percentuale complessiva più alta rispetto al 2018.

In queste elezioni ha infatti totalizzato il 54,7% dei voti contro il 49,75% di cinque anni fa. Se si va a vedere lo spaccato dei voti del centrodestra si inizia a comprendere la dimensione della vittoria di Meloni. FdI è risultato il primo partito in assoluto in Lombardia conseguendo il 25,2% dei consensi che le danno il diritto ad avere 22 consiglieri. Percentuali lontane anni luce dai dati del 2018 quando aveva portato a casa il 3,64% dei consensi e tre consiglieri.

Questi numeri consentono a FdI di avere una primazia nella regione locomotiva dell’economia assolutamente inedita. Matteo Salvini è uscito certamente ridimensionato dalle votazioni ma con numeri che gli sconsigliano ogni sorta di intemerata contro il Governo.

Lega ridimensionata ma non mortificata

La lega è passata dal 29,5% del 2018 a un più modesto 16,5%, una percentuale che consente a Salvini di potere salire legittimamente sul carro dei vincitori. Usando una vecchio proverbio possiamo dire che la Lega “piange con un occhio solo” anche in considerazione del fatto che la lista «Lombardia Ideale – Fontana Presidente» ha preso il 6,2%.

Non è più forza egemone ma non ha avuto il tracollo che molti auspicavano e che avrebbe portato a un immediato redde rationem all’interno del partito di Via Bellerio. Ci sarà tempo per i regolamenti di conti soprattutto con Umberto Bossi, ma non saranno a brevissimo termine.

Forza Italia all’angolo

Chi è uscito a pezzi dalle votazioni è Forza Italia la cui percentuale si è di fatto dimezzata passando dal 14,32% al 7,2%. Le recenti uscite filo putiniane di Silvio Berlusconi sono state lette come un tentativo di smarcamento dalle posizioni del Governo sulla guerra in Ucraina con l’obiettivo di ricordare il peso di Forza Italia all’interno della coalizione e ridurre l’inevitabile marginalizzazione conseguente alla delusione elettorale.

Tra l’altro la mancata rielezione di Giulio Gallera, che da assessore alla Sanità aveva gettato la Lombardia nel caos gestendo in maniera molto criticata la catena delle vaccinazioni, aumenta il senso di accerchiamento del Cavaliere che pensa di essere l’unico ad avere pagato politicamente per quel disastro che fu poi risolto da Moratti.

Per Moratti dura sconfitta

Le ambizioni del Terzo Polo escono ridimensionate dalle elezioni. La percentuale di consensi, il 9,9% è di fatto invariata rispetto alle politiche. Ma questa volta avevano un candidato sulla carta molto forte, Moratti fuoriuscita del centrodestra quando è stato chiaro chela coalizione avrebbe candidato Fontana e non lei.

Dall’entourage della Moratti fanno notare come l’ex sindaco di Milano il suo contributo lo abbia apportato. La lista Letizia Moratti Presidente ha preso il 5,3% dei consensi mentre Azione Italia Viva il 4,2%.

Sarebbe mancato quindi l’apporto di Carlo Calenda e Matteo Renzi, troppo fiduciosi che bastasse la sola candidatura di Moratti per aumentare i voti. Fra i due è già iniziato lo scontro post elettorale con Renzi che vuole togliere il nome di Calenda dal simbolo del partito.

Anche Majorino non può cantare vittoria

La performance del candidato di centrosinistra Pierfrancesco Majorino, secondo col 33,9% dei voti, non deve indurre a facili ottimismi. E’ vero che il numero assoluto è superiore al 29,99% realizzato cinque anni fa da Giorgio Gori.

Ma nel 2018 Centrosinistra e Movimento 5 Stelle correvano separati. Per il partito guidato da Giuseppe Conte allora si candidò Giorgio Violi che si classificò terzo con il 17,81%.

Oggi i pentastellati si sono presentati insieme a Majorino contribuendo col 3,9% al suo risultato. Senza di loro avrebbe di fatto replicato la percentuale di Gori.