Mediobanca ha respinto l’offerta di scambio di Mps, definendola ostile e priva di valore. Il CdA critica l’assenza di sinergie e il rischio di indebolimento del business, mentre governo e sindacati sostengono l’operazione.
Dell'inviato Giuseppe Failla, pubblicista italiano di finewsticino.ch
Mediobanca ha respinto con fermezza l'offerta pubblica di scambio avanzata dal Monte dei Paschi di Siena (Mps), definendola «ostile», «fortemente distruttiva di valore» e «priva di razionale industriale e finanziario».
La decisione, attesa dai mercati, è stata accompagnata da un comunicato dai toni insolitamente duri per lo stile della banca. Il Consiglio di Amministrazione (CdA), guidato da Alberto Nagel, ha motivato il rifiuto evidenziando le criticità dell’operazione, tra cui l’andamento sfavorevole dei titoli in Borsa, l’assenza di sinergie di costo e il rischio di indebolimento del modello di business.
A rendere ancora più controversa la vicenda, gli intrecci azionari che coinvolgono Delfin e Francesco Gaetano Caltagirone, azionisti di peso in entrambe le banche.
Un’offerta già compromessa dal mercato
La proposta di Mps prevedeva uno scambio di 2,3 azioni proprie per ogni titolo Mediobanca, con un premio del 5,03% rispetto al prezzo del 23 gennaio.
Tuttavia, dalla pubblicazione dell’offerta, il titolo Mps ha perso quasi l’11%, mentre Mediobanca ha guadagnato il 3,5%, rendendo l’operazione non più vantaggiosa, ma addirittura in perdita per gli azionisti Mediobanca (uno sconto stimato attorno al 10%).
Il nodo degli intrecci azionari
Uno degli aspetti più delicati della vicenda riguarda la compresenza di Delfin e Caltagirone nei capitali di Mediobanca, Mps e Generali. Delfin, che detiene il 20% di Mediobanca e il 10% di Mps, e Caltagirone, con il 7% di Mediobanca e il 5% di Mps (oltre al 5% di Anima Holding, che a sua volta possiede il 4% di Mps), risultano attori chiave dell’operazione.
Secondo Mediobanca, la loro influenza su entrambe le realtà solleva dubbi sulla coerenza degli interessi rispetto agli altri azionisti.
Un’operazione priva di razionale industriale e finanziario
Mediobanca ha criticato duramente la proposta, ritenendola priva di una logica industriale e finanziaria. Sul piano strategico, l’operazione comporterebbe un significativo indebolimento del modello di business di Mediobanca, focalizzato sul Wealth Management e l’Investment Banking.
Il rischio maggiore riguarda la perdita di clienti e ricavi, con un’inevitabile migrazione della clientela verso banche concorrenti, sia italiane che estere. A ciò si aggiunge la probabile fuga dei migliori talenti del gruppo, attratti da realtà più stabili.
Dal punto di vista finanziario, il CdA ha sottolineato l’assenza di sinergie di costo tra i due gruppi, che non presentano sovrapposizioni significative nelle rispettive reti distributive.
Inoltre, mentre Mediobanca prevede una crescita degli utili nel proprio piano strategico, il consensus di mercato indica per Mps un calo dei profitti, legato alla riduzione del margine di interesse e alla progressiva scomparsa dei benefici fiscali. L’operazione comporterebbe, quindi, una diluizione dei multipli di Mediobanca e un deterioramento del suo profilo reddituale.
Il sostegno del governo e dei sindacati
Nonostante la netta opposizione di Mediobanca, l’operazione ha ricevuto l’appoggio del governo e un inaspettato sostegno dalla Fabi, il principale sindacato bancario. Il segretario generale Lando Sileoni ha evidenziato come l’integrazione tra Mps e Mediobanca avrebbe una solida logica industriale e non comporterebbe esuberi di personale, a differenza di fusioni avvenute in passato.
Secondo Sileoni, la complementarità tra le due realtà – una focalizzata sul credito alle imprese e alle famiglie, l’altra sull’investment banking – potrebbe rappresentare un punto di forza dell’operazione.
Tuttavia, la posizione del CdA di Mediobanca sembra irremovibile. Con un'offerta già compromessa dall’andamento di mercato e una strategia giudicata priva di valore, il matrimonio tra Mediobanca e Monte dei Paschi appare destinato a non realizzarsi.