Il governo Meloni annuncia una tassa del 40% sugli extraprofitti messi a segno dalle banche nel 2023, per dare copertura finanziaria al taglio delle tasse sul reddito e sostenere i sottoscrittori di mutui a tasso variabile. E, in un colpo solo, mette fine alla Luna di Miele coi mercati e rimette l’Italia dietro la lavagna dei ripetenti.
Dell'inviato Giuseppe Failla, pubblicista italiano di finewsticino.ch
Quello che sembrava un uovo di Colombo rischia di essere uno dei più clamorosi autogol politici che si siano visti nella già non brillante storia recente del Belpaese.
All’interno del cosiddetto decreto Omnibus, un Helzapoppin che contiene provvedimenti che vanno dalle licenze Taxi alla retribuzione dei manager del Ponte sullo Stretto di Messina, liquidato poco prima delle vacanze estive, il Governo ha inserito un progetto di tassazione straordinaria del margine di interesse delle banche.
Il tema non è nuovo ma era uscito dal dibattito politico a primavera e sembrava non essere destinato a rientrarvi.
Una mucca da mungere
La decisione è arrivata come un fulmine al ciel sereno lunedì sera annunciata dal vicepremier Matteo Salvini (e l’assenza del ministro competente Giancarlo Giorgetti, dice molto sulla paternità della decisione stessa). Nessuno dei soggetti interessati era stato avvisato.
Nessuno stakeholder engagement era stato effettuato preventivamente e nemmeno è stata fatta una telefonata di cortesia quanto meno all’Abi, Associazione bancaria italiana, prima di annunciare la misura.
Risultato: giornata da incubo per le banche in Borsa e fine del dialogo privilegiato con il mondo bancario che si è sentito come una mucca da mungere per sostenere misure fiscali che altrimenti non avrebbero avuto copertura.
Sbagliate anche le stime di gettito
Il dilettantismo non si è limitato alla forma, ma ha anche riguardato la sostanza. Secondo le stime del Governo il provvedimento avrebbe dovuto cubare circa 3 miliardi di euro, esattamente la stessi cifra ottenuta dall’esecutivo spagnolo dalla maggiore tassazione delle banche deciso lo scorso anno, con un iter, differenza non da poco, completamente condiviso con gli istituti di credito e tutti i rispettivi portatori di interessi connessi.
Le stime, secondo i calcoli fatti a caldo dagli analisti di Mediobanca, hanno dato una cifra più che tripla, pari a 10 miliardi di euro. Una tassazione che sarebbe esiziale per molte banche che rischierebbero di non sopravvivere.
La sostanza della decisione, il modo in cui è stata presa e le conseguenze che sta sortendo, hanno rimesso l’Italia sotto osservazione da parte delle banche straniere.
John Bilton, responsabile della strategia multi-asset globale di J.P. Morgan Chase Bank, ha spiegato a Francine Lacqua di «Bloomberg TV» che la misura solleva preoccupazione «sulle motivazioni della politica economica italiana» aggiungendo poi che «questo ovviamente indurrà gli investitori a fare una pausa di riflessione quando si tratta di valutare il rischio sul debito italiano rispetto a quello tedesco».
Il che, in buona sostanza, lascia intravedere all’orizzonte un incremento dello spread.
Iter decreto ancora lungo
La burocrazia potrebbe aiutare a superare l’impasse. Il decreto deve essere pubblicato in Gazzetta Ufficiale dopodiché il Parlamento ha sessanta giorni di tempo per convertirlo in legge. La politica è entrata in vacanza e riprenderà i suoi lavori a settembre.
C’è tempo per aggiustare il tiro. La cosa più difficile sarà convincere i mercati che questa uscita da dilettanti allo sbaraglio sia stati solo un incidente di percorso, una sorta di colpo di calore destinato a non ripetersi.