La coalizione di centrodestra non è ancora Governo, ma è riuscita a fallire tutti i propositi che la leader Giorgia Meloni aveva indicato per la fase di transizione che l’avrebbe accompagnata all’investitura da parte del presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Dell'inviato Giuseppe Wrzy, pubblicista ed esperto economico italiano
Nelle prime ore successive alla vittoria elettorale dalla sede di Fratelli D’Italia (FdI), era trapelata l’indiscrezione secondo la quale Giorgia Meloni fosse pronta a cedere la presidenza di una delle due Camere all'opposizione, come segnale distensivo, ripristinando una prassi virtuosa terminata con la Prima Repubblica.
L’ipotesi è stata accantonata per la contrarietà dei suoi alleati, primo fra tutti Forza Italia. E così Ignazio La Russa, decano e fondatore di FdI, è stato eletto alla presidenza del Senato, mentre Lorenzo Fontana della Lega alla presidenza della Camera.
Ammiratore di Putin
E con l’elezione di Fontana è fallito l’obiettivo più ambizioso di Meloni, quello di tranquillizzare gli osservatori più scettici, in Italia e soprattutto all’estero. La Russa è un politico di lungo corso che ha avuto negli anni incarichi di assoluto rilievo come quello di Ministro della Difesa, è stato al fianco di Gianfranco Fini nella cosiddetta svolta di Fiuggi del 1995 quando la destra italiana abiurò ogni riferimento ideologico al fascismo. Ed infatti la sua nomina è passata inosservata.
Non si può dire lo stesso per Fontana, salutato dal «Financial Times» come un «euroscettico ammiratore di Putin» la cui elezione è in grado di alimentare «nuovi timori sulla direzione della politica estera italiana sotto un nuovo governo di destra».
Le residue speranze
L’indicazione di Fontana è stata letta da più di un osservatore come un dispetto del leader della Lega, Matteo Salvini, a Meloni colpevole di non avergli dato il ministero dell’interno che chiedeva e di averne depotenziato le ambizioni personali indicando come ministro dell’Economia il leghista Giancarlo Giorgetti, ex salviniano di ferro e oggi molto più lontano dal leader del Carroccio.
Fontana fa parte dell’ala veneta della Lega, quella maggiormente critica nei confronti di Salvini che si è giocato questa mossa al tavolo interno come un tentativo di riappacificazione. La prima scelta per la carica d Presidente della Camera era il ben più mite Riccardo Molinari, che è stato confermato capogruppo alla Camera. Le residue speranze di fornire all’esterno un segnale di coesione sono naufragate definitivamente ad opera di Silvio Berlusconi.
Al culmine della frustrazione
Il leader di FdI ha prima cercato di fare saltare la nomina di La Russa come ritorsione per non avere visto ascoltate le sue richieste prima fra tutte quella di un ministero per la fedelissima Licia Ronzulli. Al culmine della frustrazione Berlusconi ha mostrato, in favore delle telecamere della Tv del Senato, un appunto in cui definiva il comportamento di Meloni «upponente, prepotente, arrogante, offensivo».
La reazione e di Meloni è stata immediata. La leader ha reagito duramente ricordando di essere «non ricattabile». Come capita ogni volta che il Cavaliere esce dal seminato, è partita la campagna di pacificazione cui, curiosamente, avrebbero partecipato i due figli di primo letto Marina e Piersilvio. Quest’ultimo è amico di Meloni e così è stato spiegato il suo coinvolgimento.
E qui il terreno rischia di farsi più scivoloso
Ma Piersilvio Berlusconi è anche il datore di lavoro del compagno di Giorgia Meloni, Andrea Gianbruno. E qui il terreno rischia di farsi più scivoloso anche se è stato lo stesso Gianbruno ad avere abbandonato, con «una scelta condivisa», tutte le conduzioni di Tg. Ma questo passaggio a vuoto suona come un’inezia se paragonato all’impatto celle dichiarazioni di Berlusconi su Putin.
Parlando ai parlamentari, come testimoniato dall’audio raccolto da «LaPresse», Berlusconi ha detto di avere «riallacciato un pò i rapporti con il presidente Putin, un pò tanto, nel senso che per il mio compleanno mi ha mandato venti bottiglie di vodka e una lettera dolcissima.
Al limite del praticabile
«Gli ho risposto con bottiglie di Lambrusco e una lettera altrettanto dolce. Sono stato dichiarato da lui il primo dei suoi cinque veri amici.» E come se non bastasse a poche per di distanza è emerso un altro audio in cui spiega che è stato Volodymyr Zelensky ad attaccare il Donbass aggiungendo che oggi non esistono leadership vere né in Europa né negli Stati Uniti.
Nemmeno il più fine stratega dell’opposizione avrebbe potuto pensare a una trappola tanto diabolica per Meloni. Che, una volta al Governo, dovrà cercare, tra l’altro, di convincere il mondo di essere alla guida di non esecutivo filo-atlantista, filo ucraino e in linea con la leadership della commissione Europea.
Una missione che sarebbe già stata difficile senza il fuoco amico e che ora è al limite del praticabile.