Le molteplici revisioni cui è stato sottoposto il progetto hanno praticamente azzerato le attese di incasso della misura che, di fatto non è più nemmeno una tassa. Quel che resta è la figura da ‘dilettanti allo sbaragliò fatta dall’Esecutivo.

Dell'inviato Giuseppe Failla, pubblicista italiano di finewsticino.ch

Quando, lo scorso mese di agosto, era stata annunciata da un trionfante Matteo Salvini, vicepremier e Ministro delle Infrastrutture, la norma che voleva colpire i cosiddetti «extraprofitti delle banche» sembrava una panacea in grado di assicurare incassi da favola al Governo.

Gli osservatori più ottimisti stimavano che l’extragettito potesse arrivare fino a 10 miliardi di euro.

Gli incassi, se mai ci saranno, saranno molto lontani da quella cifra. L’iter parlamentare ha recepito le critiche arrivate da ogni parte, in primis dalla Bce, sul metodo e la natura del provvedimento fino a stravolgerlo del tutto al punto che quella che vedrà la luce non sarà tecnicamente nemmeno più una tassa.

Titoli Stato esclusi da conteggio

La nuova formulazione fissa il limite massimo dell'imposta straordinaria allo 0,26% dell'importo complessivo dell'esposizione al rischio su base individuale.

Questa modifica, che impone calcoli abbastanza complessi che coinvolgono la valutazione delle attività ponderate per il rischio, escludere la tassa venga calcolata sul totale dell’attivo della banca, un passaggio non da poco perché consente di escludere i titoli di Stato dal conteggio. Di fatto questo passaggio elimina il rischio che le banche possano vendere titoli di Stato per abbattere l’imponibile.

Ma, come dicevamo, la tassa stessa potrebbe non essere più tale. Le banche, secondo il nuovo testo della legge, possono decidere di non pagarla. In questo caso devono destinare a riserva non distribuibile un importo pari a 2,5 volte quello della tassa.

Saranno i Cda delle banche quindi a decidere se pagare o rafforzare i patrimoni degli istituti di credito. L’eventualità che possano decidere per il pagamento sembra più che altro un’potesi di scuola.

Tassa non sarà traslata

Per converso le banche non potranno traslare la tassa nelle spese previste da prodotti come i conti correnti e i conti deposito, né includendola nei costi di apertura e gestione, né a titolo specifico. A vigilare sull’adempimento di questa nuova disposizione sarà l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, che sorveglierà le banche mediante una serie di accertamenti a campione.

Tra l’altro, secondo le simulazioni fatte da AT Kearney prendendo in esame i conti del 1° semestre delle banche e le stime sui risultati per l’intero 2023, l’imposta sugli extraprofitti nella sua nuova formulazione dovrebbe garantire incassi inferiori a quelli stimati in una percentuale superiore al 10% e comunque inferiori a 3 miliardi.

Rimane la figuraccia

Alla fine di tutta questa vicenda, a tratti surreale, quel che rimane è la figura da dilettanti fatta dal governo italiano e la fine della luna di miele con il settore del credito. La cosa che rende ancora più amaro il bilancio è che questa terribile caduta reputazionale è stata fatta su un terreno in cui il Governo avrebbe potuto avere anche ragione.

Le banche beneficiano di ricavi inerziali depositando i soldi dei correntisti in Bce, che li remunera ora al 4% (tasso sui depositi) e pagando i correntisti qualche decimale di punto. Questi profitti avrebbero potuto essere oggetto di una negoziazione con le banche che avrebbe avuto buone possibilità di successo.