Il settore italiano dell’asset management è in una fase di continua fibrillazione per una pluralità di motivi.
In primo luogo, il comparto è interessato da una spinta del regolatore che chiede un consolidamento, soprattutto con una drastica diminuzione di Sim e Sgr con pochi asset in gestione.
Le dimensioni eccessivamente ridotte diminuiscono le garanzie di solidità e stabilità che Bankitalia vuole garantire a tutto il sistema finanziario.
Arrocco su Anima
Ma il risiko dell’asset management non ha solo natura regolamentare, ma anche strategica e strutturale. L’intenzione dell’Ue di eliminate le retrocessioni sui fondi ha aggiunto fermento alla spinta all’integrazione nata nel corso degli ultimi mesi.
In Italia, inoltre, alcuni movimenti hanno pura natura difensiva, nati dal timore che una fusione fra banche sparigli le carte nel mercato dell’Asset Management. E’ il caso del recente arrocco avvenuto nel capitale di Anima.
FSI Holding 2, il fondo di private equity guidato da Maurizio Tamagnini, con un’operazione realizzata da Mediobanca, ha acquistato il 9% del capitale di Anima Holding.
Soci italiani Anima sopra il 40%
Quest’operazione consente ai soci italiani di avere una quota superiore al 40%, tale da sconsigliare qualunque intemerata. Nello specifico Banco Bpm controlla il 20,6% di Anima, Poste Italiane l’11% e Fai il 9%.
A queste quote va aggiunta quella dell’imprenditore francese Gaetano Caltagirone, già socio di Unicredit, Mediobanca e Generali, che tramite Gamma controlla il 3,2% e recentemente ha fatto nominare Fabio Corsico, il suo più stretto consigliere, alla vicepresidenza.
Arrocco antifrancese
L’arrocco è stato realizzato in una duplice ottica anti-francese. Nel dettaglio i soci italiani vogliono in primo luogo placare gli appetiti di Amundi, presente nel capitale di Anima con una quota del 5,2%. Ma il nemico più temuto è Credit Agricole.
Da un lato perché lo hanno già in casa dopo che Anima ha confermato di proseguire la partnership di distribuzione con il gruppo Credit Agricole Italia, adattando per quanto necessario il precedente accordo che la legava con il Credito Valtellinese, fuso per incorporazione nel Credit Agricole Italia dopo il successo dell’Opa.
Dall’altro gli italiani temono che la Banque Verte possa divenire il primo socio di Anima conquistando il Banco Bpm, un’operazione che viene sempre più spesso ipotizzata in ambienti finanziari, considerato che l’acquirente naturale italiano di Banco Bpm, ovverosia Unicredit, finora si sia dimostrata alquanto fredda sul dossier.
Orcel in guerra contro Amundi
E’ stata proprio la banca guidata da Andrea Orcel ad aprire le ostilità contro Amundi, che ha un accordo di distribuzione sui fondi con Unicredit in scadenza a fine 2026, siglato dopo che quest’ultima le aveva venduto a fine 2016 Pioneer.
Lo scorso dicembre Unicredit ha siglato con Azimut, il gruppo indipendente guidato da Pietro Giuliani, un accordo per sviluppare il segmento dell’asset management della banca da 7 milioni di clienti in Italia che prevede, tra l’altro, la costituzione di una fabbrica prodotti in Irlanda.
Arca divisa fra Bper e Popolare di Sondrio
Altre due potenziali prede si trovano in condizioni abbastanza peculiari, anche se assai diverse fra loro. Arca Sgr ha due azionisti principali Bper con il 57,061% e Popolare di Sondrio con il 34,715% e quindi il suo destino è legato a quello delle due banche. Bper è da tempo indicata come il possibile e naturale predatore della Sondrio.
Il dossier con il tempo non ha smesso di essere interessante per la banca guidata da Piero Montani, ma sta diventando ogni giorno più caro complice l’ottima gestione della banca valtellinese e i suoi numeri di bilancio. In ambienti finanziari sono convinto che l’operazione si farà, ma non nel breve.
Banca Generali aspetta (invano?) Mediobanca
Banca Generali, che vanta una capitalizzazione di Borsa di 3,5 miliardi di euro, è un’altra preda impossibile, v’isto che Generali la controlla in maniera assoluta con il 50,17% del capitale.
Da tempo è indicata come possibile preda di Mediobanca, ma il matrimonio finora non si è fatto fondamentalmente per la contrarietà dei soci di Piazzetta Cuccia. Che intanto continua a insidiare la società guidata da Gian Maria Mossa con un corteggiamento degno del cinema dei telefoni bianchi.
Non c’è conference call in cui il management di Mediobanca non si dica pronto alla trattativa, ma solo se chiamato da Trieste. Ma dalla compagnia finora hanno fatto sapere di essere azionisti felici di Banca Generali.