Intesa Sanpaolo e Unicredit tentate dalla conferma dell’uscente Antonio Patuelli che non stimano ma che possono controllare. Focus sul ruolo europeo dell’associazione.
Dell'inviato Giuseppe Failla, pubblicista italiano di finewsticino.ch
Il recente rinnovo del contratto dei bancari, che ha visto l’uscita di Intesa Sanpaolo dalla delegazione Abi deputata alla trattativa con i sindacati e l’asse fra il Ceo di Intesa Sanpaolo Carlo Messina e il segretario della Fabi Lando Maria Sileoni che ha portato all’aumento da 435 euro voluto dal sindacato senza che nessuno riuscisse a interferire, ha dimostrato l’assoluta inutilità dell’Associazione Bancaria italiana (ABI), perlomeno per le prime due maggiori banche del Paese.
I rapporti fra il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, e Messina sono ai minimi di sempre. Non va meglio fra Andrea Orcel, numero uno di Unicredit e lo stesso Patuelli. Orcel, ovviamente, non ha gradito che il pallino della trattativa sia stato lasciato in mano a Messina. Prima che l’accordo venisse chiuso, secondo quanto ha appreso finewsticino.ch da fonti presenti alla trattativa, Orcel ha avuto una riunione con Sileoni e Patuelli per cercare di raddrizzare la vicenda.
Orcel non ha rilanciato
In quella sede Sileoni aveva suggerito a Orcel che per fare pendere la bilancia politica in favore di Unicredit il Ceo avrebbe avuto una sola strada ovvero proporre un aumento maggiore, pari a 500 euro, a fronte di un contratto più lungo di un anno. Orcel non se l’è sentita e ha lasciato partita vinta a Messina.
Ora che si tratta di rinnovare gli organi di un’associazione ormai secondaria, la strategia meno complicata e più machiavellica prevede la conferma proprio di Patuelli che diventerebbe il candidato delle due banche maggiori del Paese e in quanto tale non potrebbe esimersi dal portare aventi i progetti cui Messina e Orcel tengono maggiormente.
Politica estera
Entrambi gli amministratori delegati, in recenti interviste, si sono lamentati della difficoltà politiche e regolamentari che si incontrano volendo imbastire delle operazioni di integrazione transnazionali. E questo è il mandato che avrà il nuovo presidente dell’Abi, rafforzare il sistema bancario italiano in Europa. Per rendere il messaggio chiaro senza possibilità di fraintendimenti i banchieri hanno lasciato che a declinarlo fosse Sileoni che ha esplicitato il non detto quasi con brutalità.
«Vorrei essere estremamente chiaro» ha detto in un’intervista a «Mf-Milano Finanza» «alcuni dei principali gruppi bancari farebbero volentieri a meno dell'Abi, perché per i grandi gruppi contano soprattutto i risultati, i dividendi distribuiti agli azionisti, la loro presenza sul territorio, i rapporti con la politica e le relazioni con le autorità di vigilanza. E molto altro ancora. Questo l'Abi non lo può assicurare. Un'Abi politicamente forte e rappresentativa, invece, diventa una garanzia anche per tutte le lavoratrici e i lavoratori del settore. Noi siamo interessati che l'Abi diventi più forte in Europa perché e' li' che si giocheranno le partite più importanti del prossimo futuro».
Completare unione bancaria
«Deve essere completata l'Unione Bancaria europea: abbiamo la Vigilanza e il meccanismo di risoluzione unico – quello del bail-in – ma manca la garanzia sui depositi che la Germania continua a ostacolare perché non vuole assicurare con i suoi soldi le banche di altri Paesi, come l'Italia, con debito pubblico alto, considerate più rischiose» ha aggiunto.
Sileoni alla fine declina quella la ricetta per un Abi di successo. «Da sindacato dei banchieri e molto meno delle banche» ha spiegato «Abi deve trasformarsi in motore del rinnovamento per tutelare l'italianità delle nostre banche, comprese le piccole e medie che fanno finta di sentirsi assolutamente al riparo da improvvise raffiche di vento. Con il presidente dell'Abi Antonio Patuelli abbiamo rinnovato tre contratti nazionali e giudichiamo positivo il suo operato. Ora auspichiamo che l'associazione, nella sua continuità, cambi passo per affrontare concretamente le sfide più importanti».