I dipendenti del Credit Suisse e di UBS, così come i media e i politici, sono ancora all'oscuro di come sarà la «nuova UBS», ma la rotta si sta definendo dietro le quinte. Cosa possiamo aspettarci alla fine del mese?
Secondo la versione ufficiale, UBS ha posticipato la pubblicazione dei risultati semestrali alla fine di agosto perché ha bisogno di tempo per predisporre i report consolidati rivolti agli investitori e al pubblico. Ma questa è probabilmente solo metà della storia.
UBS sta invece sfruttando questo tempo per presentare il «fatto compiuto» senza doversi esporre a grandi confronti pubblici.
Le notizie sull'integrazione del Credit Suisse in UBS nelle ultime settimane sono state numerose, anche se espresse sempre in maniera aneddotica. Apparentemente non emergono mai una linea chiara, una strategia o la conferma di vari dettagli e sembra proprio che questo venga fatto di proposito
Il quadro completo ben nascosto
Si viene a sapere che a Londra, Hong Kong o Singapore interi team di investment bankers, gestori patrimoniali, esperti di private equity o di fixed income entrano a far parte della banca X, Y o Z. Qua e là vengono aggiunti nuovi livelli di gestione, mentre altrove vengono rimescolati.
I clienti russi del Credit Suisse sono sulla lista degli obiettivi di UBS, mentre le attività di credito in Asia vengono passate al setaccio alla ricerca di esposizioni rischiose. I singoli report o indiscrezioni citano «fonti», mentre il quadro generale rimane ben nascosto. Finora UBS non ha espresso commenti quasi su nulla, rimandando al 31 agosto la rivelazione di ciò che si cela dietro il sipario.
La giostra rallenta
Ma manca ancora un mese. Mentre in Svizzera la giostra delle persone gira più lentamente, a New York, Londra, Hong Kong e Singapore accade il contrario, con un impatto più immediato.
Qualche settimana fa, i media ipotizzavano che il dieci per cento del personale dell'investment banking del Credit Suisse se ne fosse già andato. Questa cifra oggi è sicuramente più elevata.
Una nebbia fitta
Tuttavia, una risposta chiara alla domanda su quanti dei 120.000 posti di lavoro delle due banche rimarranno alla fine dell'integrazione, non sarà disponibile alla fine di agosto.
Al contrario, qualsiasi riferimento ai piani sociali in corso, al normale turnover, alle riorganizzazioni o ai pensionamenti che potrebbe chiarire i futuri livelli occupazionali, è avvolto da una nebbia fitta.
Il terreno è pronto
L'opinione pubblica è già stata scioccata e ha apparentemente metabolizzato la notizia di tagli fino a 35.000 posti di lavoro, e tuttora l'indignazione è contenuta.
La percezione della popolazione sembra essere che ad essere colpiti saranno soprattutto i posti di lavoro all'estero, mentre la maggior parte dei posti di lavoro in Svizzera sarà tutelata.
Un bavaglio stretto
Dopo le prime manifestazioni di indignazione in seno al Consiglio degli Stati e al Consiglio nazionale, all'inizio di aprile, le reazioni dalla sfera politica sono state alquanto scarse. L'indagine sul caso Credit Suisse è stata delegata alla Commissione parlamentare d'inchiesta (PUK), che mantiene il riserbo fino a quando non saranno disponibili risultati tangibili.
Ci vorrà del tempo, quasi certamente oltre le elezioni parlamentari d’autunno. Del resto, sarebbe imprudente per i singoli politici avanzare richieste o chiedere che vengano adottate delle misure durante la campagna elettorale, prima che il PUK abbia svolto il suo lavoro.
Niente discutere
Quando il CEO di UBS Sergio Ermotti si presenterà ai media alla fine di agosto, non ci sarà quasi più nulla da discutere sul risultato.
Missione compiuta!