Giorgia Meloni è entrata nella partita per il rinnovo delle cariche delle partecipate pubbliche con il cipiglio di chi non voleva fare prigionieri e ne è uscita con la consapevolezza, una volta di più, della necessita della destra italiana di creare una sua classe dirigente e con il timore di avere perso parte del terreno conquistato nei confronti dei suoi alleati Forza Italia e Lega.
Il sintomo della sconfitta e del parziale ridimensionamento della Meloni lo si ha soprattutto con la coppia di manager che è stata destinata ad Enel e composta da Paolo Scaroni e Flavio Cattaneo. Per Scaroni si tratta di un ritorno visto che nella sua lunga carriera ha già fatto quattro mandati come amministratore delegato di Enel e tre come Ceo di Eni.
Nell’attuale panorama politico italiano il più fiero avversario di Scaroni rimane Matteo Renzi che, appena approdato a Palazzo Chigi, nove anni fa ne decreto’ l’uscita dal colosso petrolifero di stato. Molto complesso definire Scaroni come un uomo della Meloni. Amico di lunghissima data di Silvio Berlusconi, Scaroni fa parte di un milieu che non ha mai considerato Fratelli d’Italia come parte dell’establishment.
Il manager vicentino è stato l’artefice, durante i governi Berlusconi, della dipendenza energetica italiana dalla Russia, non esattamente il viatico migliore, in questo momento storico, per ritornare alla guida di una società energetica pubblica. Il mercato ha accolto la lista per Enel con una robusta ondata di vendite. Un manager bancario ha spiegato: «si tratta di due manager decisionisti, chi comanderà? il rischio di avere due galli nel pollaio è alto».
Donnarumma bocciato
Il manifesto della sconfitta di Meloni nella partita per le nomine, che testimonia una volta di più l’endemica mancanza di classe dirigente della destra italiana, è dato dalla parabola di Stefano Donnarumma, l’attuale amministratore delegato di Terna dove è arrivato come uomo del Movimento Cinque Stelle, forte di un legame consolidato durante il suo triennio alla guida del gruppo Acea, durante il mandato di Virginia Raggi a Sindaco della Capitale.
La lunga liason pentastellata non ha impedito a Donnarumma di essere il candidato preferito dall’attuale presidente del Consiglio per la guida operativa di Enel. La candidatura non si è concretizzata per la contrarietà esplicita di Matteo Salvini e Berlusconi e Donnarumma ha anche perso la poltrona di amministratore delegato di Terna a vantaggio di Giuseppina di Foggia, manager che arriva da Nokia. Ora Donnarumma viene indicato per la carica di Ceo di Cdp Venture Capital, il Fondo nazionale Innovazione di Cdp.
Melon i vince su Leonardo
Dove Meloni può dire di avere vinto è nella partita Leonardo. Da mesi aveva espresso l’intenzione di nominare il fisico ed ex ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani, che è già stato capo della ricerca di Leonardo. La scelta non è piaciuta al ministro della Difesa Guido Crosetto, amico della Meloni, che avrebbe preferito Lorenzo Mariani, capo del consorzio missilistico Mbda.
A Cingolani la presidente del Consiglio è legata da un debito di riconoscenza per l’aiuto prestato al suo successore al ministero, Gilberto Pichetto Fratin, nella gestione del dossier diversificazione energetica nella transizione fra il governo Mario Draghi e quello attuale. Alla presidenza è stato indicato l’ambasciatore Stefano Pontecorvo, che, in qualità di alto rappresentante della Nato in Afghanistan favorì l’evacuazione di migliaia di civili da Kabul dopo l’abbandono delle truppe occidentali nell’agosto del 2021.
Si tratta di un ticket di nomi di elevato standing ma con curriculum non certo forgiati nel settore difesa, di cui Leonardo è tra i leader mondiali.
Delusione rosa
Infine, dalla prima donna presidente del Consiglio italiana ci si sarebbe aspettato maggiore coraggio nelle nomine. Invece nel rinnovo dei vertici di cinque società partecipate ovvero Enel, Eni, Leonardo, Terna e Poste Italiane solo sue poltrone apicali su dieci sono state assegnate a delle manager donna.
Oltre a Giuseppina di Foggia, candidata a essere Ceo di Terna, Silvia Rovere è stata indicata alla presidenza di Poste Italiane. A mezza bocca è stata ripetuta la solita giustificazione che Eni e Leonardo, soprattutto, operano in Paesi in cui le donne al potere non solo non sono ben viste ma nemmeno accettate e citato le difficoltà Emma Marcegaglia all’epoca della sua presidenza dell’Eni.