In un'intervista a «Class Cnbc», il banchiere di Algebris lamenta la riluttanza dei fondi pensione italiani a investire negli asset del Paese.

Dell'inviato Giuseppe Failla, pubblicista italiano di finewsticino.ch

Davide Serra non è un banchiere qualsiasi. E’ un arciitaliano con residenza nel Regno Unito. Nato a Milano e laureatosi alla Bocconi, ha mosso i suoi primi passi in Ubs. Nel 2006 fonda la società di gestione del risparmio Algebris. Il suo primo scalpo risale al 2007 ed è quello dell'amministratore delegato Abn Amro Rijkman Groenink, mentre la sua campagna più iconica è stata quella contro la governance delle Generali all’epoca della presidenza di Antoine Bernheim. Membro del World Economic Forum, è molto vicino al politico italiano Matteo Renzi.

In una recente intervista a «Class Cnbc» ha espresso un giudizio molto critico nei confronti degli italiani, accusati di non investire abbastanza nel proprio Paese. «Gli italiani – ha spiegato – non credono all’Italia. Investiamo nel nostro Paese meno del 2% dei nostri risparmi. È un dramma per il futuro. Fondi pensione e casse previdenziali non sanno investire. Adesso basta. Il governo deve imporre una quota minima di investimenti nelle nostre imprese». Una posizione paradossalmente molto politica e molto poco di mercato.

Paradosso insopportabile

«Sono per la libertà di mercato, ma il paradosso che viviamo è ormai insopportabile: il nostro risparmio, il quarto al mondo, viene investito ovunque tranne che nel nostro Paese. È come se fossimo un militare che, anziché utilizzare le sue munizioni per la battaglia, le offre al nemico e gli dice: sparami. Se fossimo stati più intelligenti prima non servirebbe un intervento così forte» ha aggiunto. «Dobbiamo fare come in altri Paesi europei, Francia, Germania, Svezia, dove i gestori della previdenza devono dedicare una quota percentuale minima agli investimenti nel paese, almeno il 5%».

Una parte del problema sta anche nella formazione dei Cda che governano i fondi, troppo sbilanciati, molto spesso, sulla parte legale. «Da quando sono tornato in Italia – ha sottolineato il finanziere – sono iscritto a un fondo pensione, ma dopo cinque anni ho verificato che la performance sui miei contributi era terribile. Allora ho scritto al fondo e ho scoperto che nessuno dei responsabili aveva esperienza nel settore. Non possiamo mettere solo avvocati nei board degli enti previdenziali, sarebbe come se io andassi a gestire uno studio legale».

Rendimenti distanti da Usa

«Se negli Stati Uniti l'investitore medio investe, mediante i fondi, la propria pensione mediante gestori che hanno un track record di successo. In Europa con regolatori, politici e spesso anche operatori finanziari poco avvezzi all’assunzione di rischio, i rendimenti non sono paragonabili» ha ricordato Serra. In Italia «a fronte di risparmi liquidi per 1.200 miliardi di euro nei fondi d'investimento, quelli investiti in Italia direttamente o mediante intermediari è meno dell'1-2% dei risparmi degli italiani».

Il futuro deve passare attraverso una deciso cambio di paradigma. «Scegliete voi come, ma la allocazione deve cambiare per forza. L’indice Star di Piazza Affari ha fatto il 500% in vent’anni. Come si fa a non essere investiti? Se si continuano a comprare Etf e fondi americani, quanti posti di lavoro si creano in Italia? Gli investitori americani, attraverso i loro fondi pensione, generano ritorni medi tra il 7 e l’8%. Significa raddoppiare il capitale in dieci anni, con gli interessi composti moltiplicarli per sedici in in quarant’anni. Fa la differenza tra andare in pensione benestante o povero».

Favorevole a terzo pollo bancario

Serra è inevitabilmente attento alle evoluzioni del comparto bancario italiano. Dalla lettura del libro soci del Monte dei Paschi di Siena, dopo la recente assemblea, è emerso che Algebris ha ius portafoglio uno 0,1% della banca senese. Per il futuro del comparto il fondatore e amministratore delegato di Algebris prevede un consolidamento del comparto con la nascita di un terzo poll in grado di competere con i due colossi Intesa Sanpaolo e Unicredit.

«L'Italia è un Paese banco-centrico ma questo è positivo data la forza dei nostri istituti di credito. C'è tuttavia bisogno di creare un terzo grande polo bancario per migliorare il profilo di competitività, qualcuno dovrà pur svegliarsi» ha affermato.