Il 28 ottobre del 2022, centenario della Marcia su Roma da parte dei Fascisti, avrebbe dovuto essere anche il giorno della vendetta degli sconfitti nella battaglia delle Generali, ma è stato invece l’ennesimo successo di Alberto Nagel.
Dell'inviato Giuseppe Wrzy, pubblicista ed esperto economico italiano di finewsticino.ch
E’ immaginabile che Enrico Cuccia, fondatore di Mediobanca e radicale antifascista tanto da imporre per statuto che l’assemblea di Mediobanca si tenga ogni anno il 28 ottobre, in modo da impedire ogni possibile festeggiamento della Marcia sia in banca sia ai suoi dipendenti, anche dall’aldilà non avrebbe consentito un ribaltone n una ricorrenza tanto nefaste.
Il tema è destinato a ripetersi nel 2023 che non sarà una ricorrenza qualsiasi perché vedrà la scadenza del piano d’impresa e del consiglio di amministrazione.
Nel 2023 finirà era Pagliaro
Il sede die Mediobanca a Milano (foto: Mediobanca)
Al momento l’unica certezza è che non verrà ricandidato, per sopraggiunti limiti di età, l’attuale presidente Renato Pagliaro, classe 1957, che quest’anno ha compiuto i 65 anni, limite statutario alla rielezione. L’impossibilità di ripresentare il ticket Pagliaro-Nagel ha acceso le ambizioni di quei soci che da tempo desiderano contare maggiormente in banca e che chiedono l’inserimento di nuovi manager.
I due banchieri rappresentano un unicum. Entrati in Mediobanca a dieci anni di distanza l’uno dall’altro, Pagliaro nel 1981 e Alberto Nagel nel 1991, hanno lavorato sempre e solo in Mediobanca. I loro peggiori nemici sono i loro maggiori soci ovvero la Delfin, ora nella meni degli eredi di Leonardo del Vecchio, con il 19,8%, Francesco Gaetano Caltagirone col 5,6% e Edizione, holding della famiglia Benetton, con il 2,1%.
Tutto e tre sono presenti anche nel capitale di Assicurazioni Generali e hanno tentato, fallendo, di vincere l’ultima assemblea del Leone. Anche in Mediobanca non hanno mai toccato palla nonostante abbiano oltre il 25% del capitale.
Il mercato è alleato di Nagel
Il sede die Mediobanca a Milano (foto: Mediobanca)
La gestione Nagel, votazioni assembleari alla mano, ha sempre avuto un appoggio aperto da parte del mercato. Una situazione che suona un po’ paradossale se si pensa che stiamo parlando di quella realtà che ha elevato a metodo, in passato, l’utilizzo del patto di sindacato e il cui fondatore ha basato molto del suo potere sull’applicazione dell’assunto che «le azioni non si contano ma si pesano».
Tanto a Trieste quanto a Milano, in Piazzetta Cuccia, il voto degli investitori istituzionali ha sempre ribadito che il mercato non ama le congiure ma i piani industriali rispettati e, sommamente i dividendi. E su questo versante la gestione Nagel teme pochi paragoni. La cedola è passata dagli 0,15 euro per azione del 2014 agli 0,75 euro del 2022.
Finanziere bretone
Unico anno in cui non è stata distribuita la cedola è stato il 2020 su richiesta espressa della Bce a tutte le banche regolate. Il pomo della discordia relativo a Mediobanca riguarda il destino dell 12,93% delle Generali che ha in pancia.
Antoine Bernheim, finanziere bretone a lungo presidente del Leone soleva ripetere che «e Generali sono l’esercito dell’Italia». Nagel, di un’altra generazione rispetto a Bernheim, non ha mai voluto le stellette di quell’esercito ma sa che la sua guida non può essere concessa a tutti.
Nel futuro c’è crescita in wealth management
Nel futuro di Mediobanca c’è un allontanamento da Trieste e un rafforzamento nel wealth management. Non è un mistero che Nagel guardi da tempo a Banca Generali, ma non ha intenzione di forzare la mano, visto anche che si tratterebbe di un’operazione con parte correlata poiché banca Generali è controllata da Assicurazioni Generali.
In passato Nagel aveva proposto una fusione con Banca Mediolanum, suo storico socio aderente al patto di consultazione con una quota del 3,37%, ipotesi che era stata rifiutata da Massimo Doris, amministratore delegato e figlio del fondatore Ennio. Rimane il tema della casella di Pagliaro da riempire. La sensazione è che Nagel si stia tenendo le mani libere per potere eventualmente lasciare la guida operativa in favore della presidenza.
Cinque migliori direttori della comunicazione in Italia
Rappresentanza di Mediobanca a Roma (foto: Mediobanca)
La recente uscita del capo della comunicazione Lorenza Pigozzi, manager legatissima a Nagel, approdata a Fincantieri, è stata letta con un fattore si possibile discontinuità rispetto al passato. Pigozzi, una dei cinque migliori direttori della comunicazione in Italia, si è dimessa in perfetta sintonia con Nagel con cui ha lavorato per oltre un ventennio.
Il dossier Mediobanca è stato studiato a lungo da Carlo Messina, consigliere delegato di Intesa Sanpaolo, che in passato aveva cullato l’idea di una fusione fra la sua banca e le Generali.
Indiscrezioni su un progetto di fusione
Recentemente sono circolate delle indiscrezioni su un progetto di fusione fra Banca Imi, del gruppo Intesa Sanpaolo e Mediobanca. Indiscrezioni che non hanno trovato alcuna verifica ma che sono il segnale che la partita per il futuro di Mediobanca è destinata a stimolare gli appetiti di molti.