La Borsa Italiana è da tempo interessata da due fenomeni che ne stanno cambiando i connotati.
Dell'inviato Giuseppe Wrzy, pubblicista ed esperto economico italiano
Da un lato il progressivo disinvestmento e allontanamento della società che fanno capo alle maggiori dinastie imprenditoriali del Paese, dall’altro l’enorme successo ottenuto dalle quotazioni di piccole e piccolissime società sul segmento European Growth Market che in termini meramente numerici sopperiscono ai delisting delle blue chip, ma nulla possono sul calo della capitalizzazione di Piazza Affari.
Le ultime in ordine di tempo ad annunciare l’addio a Milano sono le famiglie Boroli Drago, cui fa capo l’impero De Agostini, che ili 1* dicembre hanno lanciato un’offerta finalizzata al delisting della controllata Dea Capital, in un operazione che dovrebbe costare loro 128 milioni di euro. La notizia è arrivata poche ore dopo il successo dell’Opa lanciata dalla famiglia Benetton, insieme a Blackstone, su Atlantia che abbandonerà Piazza Affari il 9 dicembre.
Un insuccesso rimasto isolato
Diego della Valle, con il suo socio francese Bernard Arnault, ha cercato senza riuscirci di ricomprare la sua Tods, un insuccesso rimasto isolato. I Benetton hanno preferito Zurigo per la quotazione della società nata dalla fusione fra Autogrill e Dufry, così come Leonardo Del Vecchio aveva preferito Parigi per la Essilor-Luxottica. John Elkann ha portato Exor, la holding della famiglia Agnelli, da Milano ad Amsterdam.
Zegna ha scelto New York, mentre Patrizio Bertelli potrebbe muoversi in controtendenza se effettivamente scegliesse per Prada il dual listìng, aggiungendo Milano ad Hong Kong. Prada sarebbe veramente una mosca bianca visto che nessuno delle blue chip non quotate come Armani, Lavazza, Ferrer, Barilla, Esselunga ha mai pensato concretamente alla borsa. Non solo. CNH Industrial, oggi quotata a Milano e New York, potrebbe abbandonare la borsa lombarda a favore della grande Mela.
Da inizio anno Milano ha perso oltre 150 miliardi di capitalizzazione
La situazione fotografata dai numeri diffusi da Borsa Italiana lascia poco spazio all’interpretazione. Secondo le statistiche al 31 ottobre scorso le società quotate sul Euronext Milan Domestic ammontavano a 223, in calo rispetto alle 229 di fine 2021, mentre il segmento Euronext Growth Milan ha fatto segnare una tendenza opposta con le società che sono passate nello stesso periodo da 174 a 183.
La capitalizzazione complessiva di Borsa ne ha risentito scendendo a 613,705 miliardi a fine ottobre 2022 dai 769,362 con cui aveva chiuso lo scorso anno. Il senso della decrescita lo fornisce lo spacchettamento del dato relativo alla capitalizzazione che mostra come le società Euronext Milano capitalizzino oltre 603 miliardi mentre tutte quelle che fanno parte del segmento Egm non arrivino ai 10,2 miliardi di euro.
Secondo alcune stime solo nel 2022 i delisting avrebbero sottratto fra 50 e 60 miliardi in termini di capitalizzazione di Borsa.
Capitalizzazione/Pil Milano scesa al 33,1%
Il rapporto fra capitalizzazione di Borsa e Pil è sceso dal 42,7 a 33,1%, uno dei più bassi d’Europa. I cinque titoli più scambiati, Unicredit, Eni, Intesa Sanpaolo, Stellantis ed Enel, da soli realizzano il 44% degli interi volumi giornalieri. Molte le spiegazioni plausibili per questa deriva, alcune di natura ‘geopolitica’.
Molti finanzieri inseriscono Piazza Affari fra i grandi danneggiati della Brexit. Una delle conseguenze dell’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea è stata le vendita di Borsa Italiana dal London Stock Exchange a Euronext.
Milano abbia un ruolo preminente
Nonostante Milano abbia un ruolo preminente nella nuova realtà, più di un osservatore lamenta che venga considerata una sorta di vassallo di Parigi con tutto quanto questo possa significare in termini di esposizione a possibili investitori. Tra i motivi della fuga non vanno sottovalutati i rapporti con la Consob la cui attività regolatori non è esente da critiche.
A questo va aggiunto l’endemico bancocentrismo delle imprese italiane che sono ancora abbastanza refrattarie a scendere sotto la quota di controllo una volta sbarcate in borsa per la paura di essere oggetti di operazioni ostili. Il mercato italiano soffre inoltre la mancanza di alcune categorie di investitori di lungo termine come le assicurazioni, ei fondi pensione, che assicurano liquidità e mantenimento dei valori.
Governo sostiene quotazioni delle Pmi
Per converso un dato fattuale che agevola le quotazioni della piccole è l’inserimento nella legge Finanziaria, dal 2018, del cosiddetto bonus Ipo per le pmi. Si tratta di un credito d’Imposta che copre la metà dei costi di consulenza che l’impresa sostiene per la quotazione.
Nella legge 2022 era stato risotto a 200.000 euro mentre in quella del 2023 è stato riportato al tetto previsto in origine di mezzo milione di euro.