Dopo la scomparsa di Gianni e Umberto Agnelli, il feeling fra la famiglia torinese e l’Italia è andato sempre più scemando fino ad arrivare ai minimi attuali.
Dell'inviato Giuseppe Failla, pubblicista italiano di finewsticino.ch
Il rapporto fra Fiat, oggi marchio del gruppo Stellantis, e l’Italia e, per estensione, fra la famiglia Agnelli e l’Italia, è andato ammalorandosi nel tempo e si trova oggi a minimi storici mai visti. Qualunque decisione venga presa dagli eredi dell’Avvocato genera critiche molto violente a ogni livello. L’ultimo esempio è stata la chiusura dell’impianto Maserati di Grugliasco, vicino a Torino.
Da un punto di vista occupazionale non ha comportato sacrifici di alcun tipo perché gli operai sono stati trasferiti a Mirafiori, così come i modelli di Maserati che venivano realizzati nell’impianto chiuso. In tanti però hanno voluto segnalare la fine di una fabbrica che aveva consentito il rilancio del marchio Maserati.
Fenomeno nuovo
Per chi è nato e si è formato in Italia negli ultimi decenni dello scorso secolo l’anti agnellismo senza contraltare è un fenomeno nuovo, che merita di essere spiegato. La interconnessione fra stato Italiano e famiglia Agnelli è stata spiegata in una delle frasi rese celebri da Gianni Agnelli che in una intervista televisiva spiegò che «quello che è male per Torino è sempre male per l’Italia».
Agnelli, oltre ad essere stato per i decenni successivi al dopoguerra l’italiano più conosciuto e influente al mondo, è stato a lungo un influencer ante litteram. L’orologio portato sul polsino della camicia, la cravatta indossata sopra il gilet sono solo gli esempi più eclatanti del suo influsso anche sul gusto degli italiani.
Fiat francese
John Elkann, nipote di Gianni Agnelli cui l’Avvocato ha passato lo scettro del comando prima di morire, non solo non esercita influenze positive ma al contrario viene accusato di avere svenduto la Fiat all’estero e di guardare fuori dai confini nazionali, trascurando gli interessi del Belpaese. Come sempre, la ragione non sta mai da una parte sola.
E’ vero che i soci francesi hanno in Stellantis una primazia, ma è altrettanto vero che, una volta sfumata la possibilità di acquistare GM, quando alla guida di Fca c’era ancora Sergio Marchionne, perché il gruppo sopravvivesse era necessario un matrimonio. Elkann, prima di dire sì a Peugeot-Citroen, mandò a monte le nozze con Renault che sarebbero state molto più mortificanti. Il nonno diede a John il compito di dare un futuro a Fiat e questa missione è stata certamente portata a termine.
Italia addio
Al di là di vecchi scontri ideologici, la nuova ostilità alla famiglia Agnelli ha delle motivazioni che possono anche essere condivisibili. Di fatto sotto la gestione di John Elkann tutte le società del gruppo, con la sola eccezione della Juventus, sono state trasferite all’estero per motivi fiscali. La società calcistica, tra l’altro, non può essere spostata fuori dai confini nazionali perché i regolamenti della Lega Calcio impongono che tutte le società che si iscrivono al campionato debbano essere residenti in Italia.
Come se non bastasse, sotto la gestione di Elkann Exor è Cnh Industriale hanno abbandonato la Borsa Italiana preferendo essere quotate rispettivamente ad Amsterdam e New York. Al di là dell’opportunità di scegliere sedi fiscali più convenienti, queste scelte hanno evidenziato una considerazione non elevata di quelli che possono essere gli interessi nazionali.
No CdP
I rapporti sono definitivamente precipitati quando Elkann ha pronunciato dei «non possumus» su tematiche strategiche di una certa rilevanza. Quando il neo letto Governo Meloni ha chiesto a Elkann di farsi portavoce della volontà dell’esecutivo di entrare con una quota simbolica nell’azionariato di Stellantis tramite CdP, Elkann ha declinato l’invito. Una mossa che è stata letta come uno sgarbo istituzionale su più livelli.
Innanzitutto non si capisce perché Cassa Depositi e prestiti non possa avere una quota di Stellantis di cui è socia la sua omologa francese. Allo Stato italiano non serve una quota azionaria per bloccare eventuali operazioni non gradite, visto che può usare il golden power. Ma l’atteggiamento di Elkann è stato eletto come il sintomo di una scarsa considerazione degli interessi tricolori.
Appetiti esteri
Un altro no che è pesato molto è stato quello pronunciato nella partita per le Generali due anni fa. Quando lo scontro fra Mediobanca da un lato e Leonardo del Vecchio e Francesco Gaetano Caltagirone dall’altro era al calor bianco, fonti governative sondarono Exor per capire se volesse acquistare una quota del Leone per fare da ago della bilancia e per scongiurare appetiti esteri. Anche in quel caso arrivò un «no, grazie», legittimo ma che non fu apprezzato a Roma così come a Milano.