Il management e i maggiori soci non sono riusciti a trovare una sintesi. Il Cda che nascerà rischia di essere depotenziato. Attesa affluenza record all’assemblea del 28 ottobre.
Non sono bastati mesi e mesi di avvicinamento, di serrato lavoro degli sherpa e i moniti all’unità giunti praticamente da ogni latitudine politica e finanziaria.
La contesa fra Alberto Nagel, amministratore delegato di Mediobanca e Francesco Milleri presidente di Delfin, primo socio della mercante bank con una quota di poco inferiore al 20%, non è sfociata in nessuna sintesi e quindi in nessuna lista condivisa tra Cda e primo socio.
In assemblea si confronteranno la lista del Consiglio, che è stata già depositata, e quella di Delfin, che sarà inevitabilmente una lista di minoranza e quindi composta da cinque nominativi.
La holding che raccoglie gli eredi di Leonardo del Vecchio non redigerà una lista di maggioranza non perché non ne abbia le ambizioni ma perché la Bce, nell’autorizzarli a salire al 20, ne ha limitato enormemente la possibilità di influenza diretta negli equilibri della banca.
Accuse reciproche
Ognuna delle parti attribuisce il fallimento delle trattative all’altra. Le fonti vicine al Cda di Mediobanca spiegano che l’apertura del management non sono state apprezzate né comprese da Delfin che avrebbe voluto stravolgere la fisionomia del consiglio. Per converso fonti vicine al primo azionista hanno spiegato che il management non ha fatto nessuna apertura significativa a partire dalla presidenza.
La storia di Mediobanca impone che il presidente sia scelto fra i manager del gruppo. Una regola fortemente contestata dai primi azionisti e che appare ormai anacronistica anche a osservatori neutrali.
Alla fine, Renato Pagliaro, che aveva detto in tempi non sospetti di volere passare la mano, si è convinto ad accettare un nuovo mandato, per non mettere Nagel nella difficile condizione di dovere individuare il nuovo presidente fra il management attuale, col rischio di bruciare nomi e professionalità.
In Statuto limite dei 70 anni
Le lunghe schermaglie hanno anche impedito di integrare l’ordine del giorno dell’assemblea con le modifiche statutarie che avrebbero consentito di scegliere candidati esterni che oggi sono non eleggibili, come ad esempio Fabrizio Palenzona che ha appena compiuto i settant’anni, soglia che oggi rende ineleggibili alla presidenza,
Il nulla di fatto ha creato profonde delusioni sia in ambienti politici sia in ambienti finanziari che temono che il Cda avrà una alta dose di conflittualità e nessuna possibilità di prendere decisioni all’unanimità.
Per la prima volta anche un socio storico delle merchant bank, Romano Minozzi, patron di Iris Ceramiche, si è schierato contro Nagel accusandolo di ascoltare «solo i banchieri». Dei quindici posti del consiglio dodici saranno occupati da rappresentanti della lista del Cda mentre gli altri tre saranno divisi fra la lista di Delfin (due) e di Assogestioni (uno).
Sarà affluenza record
Il mercato ha subodorato l’odore di sangue per lo scontro assembleare e partecipare, secondo quanto si apprende, con numeri da record che potrebbero toccare il 75% del capitale. Ma una Mediobanca non nel pieno delle sue potenzialità non serve a nessuno e questa situazione potrebbe indurre un soggetto terzo a rompere gli indugi.
L’identikit dello sparigliatole ideale dei giochi porta a Intesa Sanpaolo e al suo Ceo Carlo Messina. Da tempo studia il dossier Generali e conseguentemente anche il dossier Mediobanca, che della compagnia assicurativa è il primo socio con una partecipazione del 13% del capitale. In passato le sue ambizioni furono frustrate dai suoi soci.
Ma se questa volta l’intervento su Piazzetta Cuccia avesse valenza sistemica, se servisse per mettere in sicurezza un asset che potrebbe finire in mani straniere, allora sarebbe tutto un altro paio di maniche.