Il mondo bancario italiano è stato scosso dalla decisione di Intesa Sanpaolo, il principale istituto di credito tricolore, di revocare il mandato all’Abi, l’associazione di categoria, nella trattativa per il rinnovo del contratto nazionale.

Dell'inviato Giuseppe Failla, pubblicista ed esperto economico italiano di finewsticino.ch

La mossa di Carlo Messina, Ceo di Intesa Sanpaolo, è preventiva, visto che il tavolo sindacale non è ancora partito e che la banca non diserterà le trattative ma affiancherà un proprio rappresentante a Ilaria Dalle Rive, manager di Unicredit a capo del Comitato Affari sindacali e del lavoro dell’Abi.

Mossa simile a quella di Marchionne. O no?

Questo dettaglio rende la scelta di Intesa differente da quella che fece Sergio Marchionne quando portò Fiat fuori da Confindustria, come si sono precipitati a sottolineare fonti sindacali e dell’Abi, consapevoli che quella scelta del manager italo canadese contribuì a lanciare definitivamente il gruppo torinese condannando sia l’associazione degli industriali sia il maggior sindacato italiano, la Cgil, che non sono mai tornati ai livelli di influenza negli equilibri del Paese precedenti la mossa di Marchionne.

Al momento sembra poco probabile che Intesa Sanpaolo possa adottare un proprio contratto aziendale, ma con questa mossa potrebbe arrivare a farlo qualora le trattative non dovessero prendere una piega in linea alle attese di Messina.

Schiaffo all’Abi e alla Fabi

La decisione appare innanzitutto come una delegittimazione dell’Abi e delle sua capacità di contrattazione sindacale. Fonti finanziarie l’hanno definita come eccessivamente «debole nei confronti della Fabi».

Inevitabilmente questa mossa suona come una messa in discussione della leadership di Antonio Patuelli, presidente di lungo corso dell’Abi. Si tratta di un giudizio estremamente severo che individua anche il destinatario ultimo del guanto di sfida lanciato da Intesa, ovvero il sindacato guidato da Lando Maria Sileoni.

Guerra fra colossi

La contrapposizione fra Messina e Sileoni, o fra Intesa Sanpaolo e Fabi si annuncia come uno scontro fra titani. Degli oltre 269.000 dipendenti delle banche italiane oltre 90.000 sono iscritti alla Fabi mentre oltre 75.000 sono dipendenti di Intesa Sanpaolo.

Nelle scorse settimane ci sono state delle frizioni molto accentuate fra la banca eia sindacato in merito alla settimana corta. La banca aveva proposto a tutti i dipendenti non a contatto diretto con gol pubblico, di dividere le 36 ore settimanali di lavoro in quattro giornate lavorative da 9 ore ciascuna con un giorno libero a scelta, cui aveva aggiunto un piano di smart working da 10 giorni al mese.

L’esclusione del personale delle filiali era stato motivato con il fatto che alcune agenzie minori non avrebbero il personale sufficiente a garantire allo stesso tempo i servizi per la clientela e la settimana corta per i dipendenti.

Il sindacato ha visto nella mossa della banca un tentativo di scavalcare il tavolo di contrattazione sindacale e di fare un’ingiusta differenziazione fra dipendenti del front office e del back office.

E ora?

Aspettarsi un passo indietro di Messina è irrealistico. La banca, che recentemente ha erogato 500 euro a testa a favore dei dipendenti contro il carovita, pretende un contratto che rispecchi la peculiarità del gruppo. Un’argomentazione che, qualora accolta, comporterebbe la fine di una contrattazione unitaria delle banche grandi e piccole per quanto riguarda il contratto di lavoro.

Questo significherebbe, nel medio termine, il collasso o la scissione dell’Abi con la creazione di nuovi equilibri politici. Un passaggio molto importante sarà la presentazione della piattaforma unitaria da parte dei sindacati del settore. First Cisl, Uilca Uil e Fisac Cgil potrebbero essere tentati dal desiderio di approfittare della situazione per isolare la Fabi e cercare di erodere potere e rappresentanza.

Sileoni e le sue ambizioni

Sileoni è al terzo mandato consecutivo in Fabi, record storico per il sindacato, ottenuti con percentuali bulgare. Guida il sindacato dal 2010 e non è caduto nella tentazione di andare subito allo scontro. Sa di avere un’antagonista molto forte. E ha giocato la carte dell’appeasement.

«Per quanto riguarda la situazione tra Intesa Sanpaolo e ABI, lavoreremo tutti per trovare una positiva soluzione, ma, se la decisione di Intesa era già stata presa da tempo, diventa inutile la ricerca di un capro espiatorio», ha spiegato Sileoni. Che non ha nessuna intenzione di essere il capro espiatorio e per questo cerca di non essere il primo a firmare la dichiarazione di guerra.