La successione di Leonardo Del Vecchio è prossima all’essere conclusa e Delfin, la holding finanziaria che raccoglie tutte le partecipazioni azionarie degli eredi del fondatore di Luxottica supera il 10% nel capitale delle Generali e chiede l’autorizzazione a salire fino al 20%.

Fra i due eventi non c’è alcun nesso causale, ma solo temporale, ma tanto è bastato per mettere le ali alla speculazione sul titolo della compagnia triestina. Con qualche ragione. Ma andiamo con ordine.

La richiesta di Delfin all’Ivass di potere salire nel capitale delle Generali risale allo scorso 17 aprile e, per quanto paradossale, è dipesa dalle politiche di remunerazione adottate da Philippe Donnet, Ceo del Leone.

Frutto del buy back

E’ una conseguenza dell’annullamento delle azioni frutto del buy back, deciso dal management come forma di remunerazione aggiuntiva dei soci oltre ai dividendi, la quinta di Delfin ha superato la soglia del 10%.

A quel punto la società guidata da Francesco Milleri, regolamento alla mano, aveva due opzioni possibili, la prima era scendere sotto la soglia del 10% e la seconda chiedere dio potere salire fino al 20%.

Milleri attacca e difende allo stesso tempo

Uno dei motti più famosi di Carl von Clausewitz recita «ogni attacco deve terminare con una difesa».

E Milleri in una sola mossa ha mandato un messaggio al management del Leone e al tempo stesso ha potuto negare di averlo fatto visto che si tratta dell’unica mossa che fosse sensato fare, una volta superata la sogli del 10% non per propria voglia.

Vicina chiusura eredità Del Vecchio

A più di un anno dalla scomparsa di Leonardo Del Vecchio, avvenuta il 27 giugno del 2022, sembra che gli eredi siano molto vicino ad avere trovato la quadra sull’eredità. Questo significa che la holding potrà tornare ad avere una gestione più dinamica dio quella che ha avuto negli ultimi mesi.

In particolare, potranno essere affrontate misure eccezionali come quelle che potrebbero servire per un attacco alle Generali. Finora i messaggi che arrivano dalla famiglia sono messaggi assolutamente tranquillizzanti, di azionisti soddisfatto delle redditività dell’investimento che reputerebbero un dispiacere lasciare le Generali.

Ma è evidente che una società che può salire fino al 20% delle Generali e ha già il 19,8% di Mediobanca che del Leone sono il primo socio individuale con il 13,1%, possa pretendere di essere ascoltata.

Caltagirone contro lista del Cda

Francesco Gaetano Caltagirone, socio delle Generali al 6,23%, dopo avere inutilmente cercato di prendere il controllo del Consiglio di amministrazione del Leone lo scorso anno, è tronato a criticare l’istituzione della lista del Cda, come una forma di autocrazia.

Il prossimo a dovere redigere una lista del Cda è Alberto Nagel, amministratore delegato di Mediobanca, in vista del rinnovo del board. Il recalcitrante Caltagirone ha il 10% del capitale della merchant bank ed è difficile pensare che possa essere d’accordo con la lista per la banca dopo quello che ha detto di Generali.

Eredi Del Vecchio preferiscono pace

Prima della scomparsa di Del Vecchio questi ultimi eventi non avrebbero che potuto essere letti come il prodromo di un nuovo scontro.

Ma gli eredi, oltre a essere numerosi e quindi difficile da mettere d’accordo, sembrano infinitamente meno aggressivi di Leonardo. Ma questo non significa che non abbiano ambizioni di essere establishment anche molto più di quanto l’eredità consenta loro di essere.

Possibile nuovo equilibrio

La possibilità che Delfin possa essere un socio stabile di Mediobanca con l’attuale management non è remota come lo er dodici mesi fa. Milleri ha le armi per un nuovo scontro, ma non sembra avere voglia di affrontarlo.

Per Nagel sia è aperta una finestra di dialogo ulteriore con il suo primo azionista. Una finestra che, sommata alle ambizioni di Banca Mediolanum e di Massimo Doris, azionisti storici di Mediobanca, potrebbe portare alla creazione di non inedito blocco di potere in continuità e allo stesso tempo in discontinuità con il recente passato.