Il piano industriale di Mediobanca è piaciuto, molto, ai mercati. E secondo indiscrezioni finanziarie sarebbe piaciuto anche a Francesco Milleri, presidente di Delfin, primo socio di Mediobanca con una quota di poco inferiore al 20% del capitale. Ora Alberto Nagel, amministratore delegato di Mediobanca, è chiamato una nuova prova molto difficile, la redazione della lista del Cda.

Le intenzioni di Delfin, e dei suoi azionisti, gli eredi di Leonardo Del Vecchio che sono molti lontano dal trovare la quadra sull’eredita del fondatore di Luxottica, sono mutevoli per definizione.

Quel che è certo è che sarà ancora più difficile motivare una contrarietà alla permanenza di Alberto Nagel sulla plancia di comando della merchant bank alla luce dei risultati ottenuti e di quelli prospettati nel piano triennale appena approvato.

I numeri giocano certamente a favore di Nagel che potrebbe avere anche risolto il maggiore inconveniente che sembrava esserglisi prospettato in vista della redazione della lista, ovverosia il riempimento della casella del presidente.

Pagliaro resta?

Renato Pagliaro, tre anni fa aveva detto a molte persone vicine a Mediobanca che non avrebbe avuto interesse a una nuova candidatura, ritenendo che la sua esperienza di presidente si sarebbe dovuta ritenere conclusa al compimento del sessantacinquesimo anno di età.

Pagliaro è nato nel febbraio del 1957 quindi arriverà alla prossima assemblea, in calendario a ottobre, avendo compiuto i 66 anni. Nessun vincolo statutario lo costringe a non ricandidarsi.

Secondo alcune persone vicine alla banca, le contrarietà affrontate in questi anni nei controversi rapporti con gli azionisti, potrebbero averlo convinto a rendersi disponibile per un ultimo mandato per spirito di servizio e amore nei confronti della banca. La lista dovrà essere pronta per settembre, ma è chiaro che i giochi dovranno essere chiusi entro la fine dell’estate.

Nagel molle su Generali

Anche i più entusiasti sostenitori del piano di Mediobanca non hanno potuto esimersi dal mostrare una certa delusione per la mancanza di novità di rilievo riguardo al destino della quota detenuta in Generali, pari al 13% del capitale del Leone.

Non sfugge a nessuno che la battaglia su Mediobanca sia una battaglia per questa quota. Anche per questo l’atteggiamento di appeasement di Delfin non ha convinto tutti gli osservatori della partita.

Donnet agnello sacrificale?

Tra i più smaliziati ha iniziato a farsi largo un’ipotesi, ovvero che in caso di nuovo attacco Nagel potrebbe difendersi sacrificando proprio l’amministratore delegato delle Generali Philippe Donnet.

Nei confronti del management della compagnia assicurativa prosegue una critica strisciante, da parte di alcuni stakeholder, di eccessiva cautela nelle mosse espansive. Come spesso accade in Italia, alcuni articoli di stampa destano particolare interesse in quanto prodromi di grossi cambiamenti.

Uno di questi è stato pubblicato alcuni giorni fa da «Milano Finanza». Il titolo era volutamente captivo e recitava «Generali, vai via il Ceo Donnet? Ecco la linea di successione interna».

Il contenuto era molto meno eccitante visto che rivelava la linea di successione interna individuata dal Leone, una delle best practice che tutte le maggiori multinazionali effettuano. Il designato è Jean-Laurent Granier, il ceo di Generali France e vicepresidente di Generali Spain.

Bernheim sacrificato due volte

Chi è esperto Di Mediobanca e Generali è abituato a leggere fra le righe. Questo articolo ha destato un’interessamento decisamente elevato fra gli addetti ai lavori, indicando una possibile strada per la conferma di Nagel a Mediobanca.

Non sarebbe certo la prima volta che un presidente delle Generali viene sacrificato in una partita di scacchi giocata da Mediobanca. Ad Antoine Bernheim è capitato addirittura due volte.