Più tempo passa dalla decisione delle autorità elvetiche di salvare il Credit Suite costringendolo alle nozze con UBS, con un’operazione che ha forzato ogni regola di bail out bancario e di corporale governance, più la direzione presa da Berna appare incongrua, in particolare modo se si paragona il destino di Credit Suisse a quello della BSI.

Dell'inviato Giuseppe Failla, pubblicista ed esperto economico di finewsticino.ch

Facciamo un passo indietro. BSI, la piu' antica banca del Canton Ticino, fondata a Lugano nel 1873 come Banca della Svizzera Italiana venne condannata a sparire nel 2016 dalla Finma dopo il suo coinvolgimento nello scandalo finanziario relativo al fondo statale malese 1Mdb (1Malaysia Development Berhad), sorto nel 2009 con l'arrivo al potere del primo ministro malaysiano Najib Razak, molto chiacchierato per accuse di riciclaggio di denaro sporco.

Dei 4 miliardi di dollari che sottrasse al suo Paese, una parte e' stata ritrovata nei conti bancari svizzeri dello stesso Razak. Finma ha denunciato «il comportamento scorretto particolarmente grave» di BSI, accusandola di «gravi lacune quanto alla lotta contro il riciclaggio» e «autorizzando l'acquisizione integrale di BSI da parte di EFG International a condizione che BSI venga interamente integrata e poi dissolta in dodici mesi».

Più di una nube

Accuse gravissime che hanno portato le autorità a irrogare il massimo della pena. Una situazione che appare sideralmente distante da quella del Credit Suisse per la quale, non più tardi dello scorso 15 marzo, Finma confermava che «adempie le esigenze particolari in materia di capitale e liquidità per le banche di rilevanza sistemic».

Ma, facendo una semplice ricerca di archivio, si vede come più di una nube ha lambito Credit Suisse nel recente passato. Due anni fa, nel 2021, venne coinvolta nel collasso dell’Hedge Fund Archegos Capital Management, dove perse 5 miliardi e mezzo di franchi svizzeri. La Sec statunitense nell’indagine contestò, a vario titolo, accuse che andavano dal racket, al riciclaggio, alla truffa telematica alla manipolazione dei mercati.

Informazioni in parte false ed eccessivamente ottimistiche

Poco dopo è stato il turno dello scandalo Greensill. Finma, nella sua inchiesta, ha stabilito che la banca aveva dato «informazioni in parte false ed eccessivamente ottimistiche» in merito alla sua esposizione nella società Greensill. I fatti appurati dagli inquirenti, anche in qual caso, lasciavano poco spazio a interpretazioni benevole.

Un alto dirigente dell'istituto svizzero aveva respinto la raccomandazione di una persona preposta alla gestione dei rischi, che aveva individuato una serie di punti problematici nel modello operativo di Greensill e consigliato alla banca di non erogare il credito. Dal 2017, Credit Suisse aveva lanciato in relazione a Greensill quattro fondi, presentati come a basso rischio, nei quali la clientela ha investito circa 10 miliardi di dollari.

Ma il meglio deve ancora arrivare

La società fondata dall'imprenditore Lex Greensill è però fallita nel 2021 e finora la banca svizzera è riuscita a recuperare solo 7,4 miliardi di dollari. L'inchiesta della Finma ha potuto appurare che Credit Suisse ha «gravemente violato l’obbligo di individuare, limitare e controllare adeguatamente i rischi sancito dal diritto in materia di vigilanza».

Ma il meglio deve ancora arrivare. Il 27 giugno 2022 il Tribunale Penale Federale di Bellinzona ha emesso una sentenza in cui Credit Suisse è stata riconosciuta colpevole di aver aiutato il narcotrafficante bulgaro Evelin Banev a ripulire i soldi guadagnati con il contrabbando di cocaina. È in assoluto la prima volta che un istituto bancario viene dichiarato colpevole di riciclaggio in Svizzera.

Il destino del Credit Suisse visto con gli occhi di quanti sono stati travolti, senza colpe, dallo scandalo BSI sembra assai ingiusto. Come se siano stati applicati due pesi e due misure.